venerdì 14 maggio 2010

Esperimento di viral marketing

Il colloquio direi che è andato bene. Si tratta di un lavoro di comunicazione web 2.0, e la responsabile marketing ha apprezzato il mio approccio via e-mail. A proposito di "pretentious" nell'oggetto avevo scritto "sono la persona che stai cercando" e ho iniziato la lettera con un "ciao". Lei mi ha detto che trattandosi di comunicazione internet chi inizia con "Gentile dottoressa" sbaglia tutto in partenza. Questo discorso mi piace perché ha ragione, e perché pur avendo rischiato mi è andata bene. Non si sa mai, volendo potevo anche vedermi rispondere "oh non sono mica tua sorella che mi dai tutta questa confidenza". Il lavoro mi ispira perché è veramente challenging, si tratta di tirare su da zero un sito molto ambizioso, e se chi si occupa della promozione 2.0 ha successo mantiene il posto, altrimenti la società chiuderà queste posizioni. La sede è vicino a Firenze, una città che mi è sempre piaciuta e dove mi sposterei molto volentieri. L'unico momento "unghie sulla lavagna" è stato quando mi ha nominato il contratto a progetto. Dopo undici anni a tempo indeterminato mi è sembrato di subire una retrocessione in serie B, ma poi ci ho riflettuto. La mia paura più grande riguardava il ricongiungimento dei contributi inps per la pensione, perché qualche anno fa non era possibile. Ora visto che siamo tutti sulla stessa barca hanno fatto una legge per cui se uno matura almeno tre anni a progetto poi può ricongiungere il tutto ai contributi inps normali. Per il resto, se il contratto a progetto è veramente un progetto e non ti costringe a timbrare un cartellino giornaliero, non è male per niente. Nel mio ultimo periodo lavorativo avevo ottenuto un contratto di telelavoro flessibile, e se un pomeriggio c'era il sole e volevo uscire a fare una passeggiata, poi recuperavo il lavoro di sera e nei fine settimana. Poi come tutti sapete c'è stata la pausa americana. Dopo tutto ciò tornare a timbrare un cartellino, mi diventerebbe difficile. Se il datore di lavoro capisce che il web è aperto 24 ore su 24, non è più importante il quando e il dove si lavora, ma il come si lavora. Ovviamente se si lavora in team specialmente all'inizio bisognerà essere in ufficio, ma poi mi piace l'idea dell'autogestione, che è comunque controllabile. Se non fai nulla le visite non arrivano e ciao lavoro. Ora, il mio unico problema è che essendo un lavoro fico, a quella azienda stanno arrivando un mare di curriculum diversi e i posti disponibili sono soltanto due. Per una volta, o miei lettori, dopo avervi dato tanto in termini di condivisione delle mie esperienze, sono a chiedervi un piccolo aiuto che non vi costa niente. Anzi vi conviene, perché se vado a Firenze il mio blog continuerà ad essere interessante, e se rimango al paesello presto non avrò più niente da dire.
Praticamente, io vorrei dimostrare alla responsabile marketing che sono effettivamente in grado di muovere traffico web, perché conosco tante persone su internet. Quindi se tu vuoi aiutarmi, ora clicca qui sull'indirizzo del suo blog personale, in modo che lei possa vedere un'impennata nelle sue statistiche e rendersi conto che se vuole lanciare bene quel sito deve avere ME.
Cosa aspetti? Sdebitati!! Ti costa solo un click.
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mercoledì 12 maggio 2010

Don't you think that it sounds a little bit pretentious?

Giovedì potrò rendermi conto se gli Stati Uniti mi hanno insegnato davvero qualcosa di buono. Il primo fondamento della filosofia americana è che i soldi spesi nell'istruzione tornano sempre indietro. Io ho investito su me stessa, perché mi sono ritenuta più affidabile di certe azioni che la banca voleva propinarmi. Giovedì, dicevo, ho un colloquio che potrebbe cambiarmi la vita, e sono curiosa di vedere come va (again? non sei ancora stufa di reinventarti? no). Nelle scuole americane, comprese quelle di lingua, ti insegnano a saperti vendere, altrimenti in quella società di squali navigati non ne esci vivo. Ralph, l'insegnante, non si limitava a correggere gli errori grammaticali, ma ci insegnava a scrivere e parlare come gli americani. Le speaking presentation erano l'incubo della classe. Una volta a settimana bisognava parlare per cinque minuti in piedi davanti a tutti, mentre lui inflessibile con la sua penna dava il voto all'inglese e all'atteggiamento. Dovete essere convincenti, diceva. Le mie prime dieci presentazioni sono state un mezzo disastro, poi man mano che ho preso confidenza ho sfoderato un po' della nostra caratteristica teatralità italiana e sono migliorata. Se nei temi leggeva un "secondo me" lo sottolineava in rosso e ci scriveva che indeboliva quanto sostenuto. Un giorno gli ho chiesto se questo modo di scrivere non risultasse pretenzioso e lui mi ha risposto "bullshit". La sua ricetta era: dite al vostro audience cosa state per dire, diteglielo, ribaditegli quanto detto. Con-vin-ce-te-li. Lavorativamente parlando, io ho sempre definito tutto questo contorno "aria fritta" e ho sempre preferito concentrarmi sulla sola qualità del lavoro svolto. Però se guardo chi nella vita ha combinato davvero qualcosa senza accontentarsi del primo lavoretto trovato, tutto questo mi risulta vero.

Esercizio di training autogeno: ripetere venti volte "tomorrow my performance will be outstanding". Alternare con "la parola scaramanzia in inglese è intraducibile perché quando vuoi veramente qualcosa, ci riesci".

lunedì 10 maggio 2010

Wonder woman

Ho salutato Boston nel peggiore dei modi possibili. O forse nel migliore, dipende dai punti di vista.
Mi ero preparata a versare litri di lacrime per la chiusura di un capitolo enorme. Avevo paura di commuovermi troppo in occasione della festa di saluto organizzata in mio onore dal coinquiliname e dintorni, fissata al ristorante russo per domenica sera. Poi è successo l'imprevedibile.
Andiamo con ordine.
Venerdì pomeriggio, dopo essere tornata dall'ultima escursione alla lavanderia a gettoni, ho provato a fare la valigia per vedere se mi avanzava un po' di posto per un eventuale shopping sabato pomeriggio. Ovviamente era piena all'inverosimile, ma ho pensato che se buttavo via qualche vecchia maglia che mi prestava servizio da più di un quinquennio, avrei anche potuto fare un salto da Macy's per investire gli ultimi dollari rimasti. Venerdì sera sono andata a dormire e ho lasciato lì la valigia fatta, senza pensarci più. Sabato mattina mi sono svegliata alle cinque a causa del diluvio universale in corso. Ho provato a riaddormentarmi ma il rumore della pioggia era troppo forte. Ho acceso il pc. Ho aperto la pagina di Repubblica.it che mi ha annunciato la cancellazione di 5000 voli in spagna e francia, a causa della nube vulcanica. Per fortuna l'Italia è lontana da lì, ho pensato. Poi mi è venuto in mente che su facebook qualcuno aveva linkato il sito delle previsioni dei movimenti della cenere vulcanica, e ci ho dato un'occhiata per curiosità. Lì ho visto che nel giro di dodici ore i cieli italiani sarebbero stati ricoperti interamente dalla nube, e mi è preso un po' di panico. Chi è l'ultima persona che devo chiamare in caso di panico? Mio padre. [file under: la mia unica figliooooola]
"Ciao, buongiorno, senti stavo guardando qui che forse la nube del vulcano arriverà a breve in Italia e quindi il mio volo potrebbe essere rimandato a chissà quando."
"Ehhh? Sei pazza? Cosa fai ancora lì?"
"Eh ti ho chiamato perché non so che fare. La mia stanza sarà affittata dal giorno dopo e nel caso in cui mi rimandino il volo sarei pure senza un tetto."
"Sposta subito il volo a oggi"
"Ma..."
"Niente ma!"
"Ok."
Alle otto di sabato mattina ho chiamato la compagnia aerea, ho spostato tutto, sono corsa in banca a chiudere il conto (e per fortuna che là sono aperte anche di sabato), ho messo le ultime cose in valigia, ho svegliato Liza che dormiva, ho pranzato con lei alle undici e poi sono corsa in aeroporto. Mentre sono uscita fuori con la mia valigiona che pesava 22 kg e uno zaino da 12 kg era ancora in corso il diluvio universale di cui sopra. In quel momento avevo in testa solo la parola CASA circondata da lampadine fosforescenti, e non sono riuscita a realizzare che dopo 7 mesi stavo lasciando Boston. Sono salita sulla metropolitana bagnata come un pulcino, ho maledetto la stazione di cambio che era senza ascensore, ho imprecato contro gli enormi gradini del bus navetta e sono entrata nell'atrio dell'aeroporto. Ho guardato il tabellone, e ho visto voli provenienti dall'europa cancellati ed altri con anche cinque ore di ritardo. Grazie a twitter sapevo che i voli tardavano perché dovevano passare da sotto il portogallo per evitare la nube. Fortunatamente il mio volo veniva da Roma, e aveva molto meno ritardo degli altri perché la deviazione era minore. Appena fatto il check in ho deciso di rilassarmi accendendo il pc, e ho letto che Repubblica continuava con i suoi catastrofismi. Domattina alle sei nube sull'Italia, riunione di emergenza della protezione civile in corso, titolava a caratteri cubitali. Il mio volo doveva atterrare alle otto, sta a vedere che me lo annullano all'ultimo momento, ho pensato. E invece no, tutto è andato assolutamente liscio come l'olio.
Il volo era diretto a fiumicino e sono atterrata alle 8.30 di ieri mattina, con soli quaranta minuti di ritardo per via della deviazione. L'aereoporto era nel caos totale, perché durante la mattinata, tutti gli aeroporti del nord erano stati chiusi, e quindi tutti i passeggeri con coincidenze sono stati dirottati alla stazione termini. Una volta salita sul trenino di collegamento ho realizzato che era stracolmo di gente con bagagli con l'etichetta transfer. Ho pensato che se non volevo restare bloccata ore a Roma, sarebbe stato meglio correre verso la biglietteria a tutta velocità, con tutti i miei 34 kg di bagaglio. L'abbiamo pensato tutti. La fila alla biglietteria era infinita. Non mi sono arresa e ho cercato le macchinette più nascoste. Avevano tutte la fila, solo una era libera perché accettava solo carte di credito. Ho provato con l'eurostar che partiva dopo 40 minuti perché non volevo fare le corse, e mi dava posti esauriti. Ho provato con l'eurostar che partiva dopo 10 minuti , e mi dava cinque posti liberi rimasti, di cui tre in prima classe. Ho preso il penultimo biglietto di seconda classe. Ero davanti al binario 23, il treno partiva al binario due e mi era stato assegnato il posto in una delle ultime carrozze in fondo. Un'altra corsa. Dopo due ore sono arrivata a Firenze, e sono scesa per prendere il trenino regionale che attraversa le montagne e mi porta dritto a casa a Faenza senza cambiare. Quando quel treno è partito mi sono finalmente rilassata. Mentre le colline verdi ricoperte di viti e ulivi scorrevano dal finestrino, ho pensato che 24 ore prima ero a Boston e che l'ho lasciata per sempre. Ho riguardato fuori e non sono riuscita ad essere triste.


giovedì 6 maggio 2010

Back in Boston

Appena tornata a Boston Liza allarmatissima mi ha spiegato nei dettagli l'emergenza acqua in corso. Mentre noi ce ne stavamo beati a Los Angeles, dai rubinetti bostoniani usciva l'acqua del lago non depurata. Ho aperto il frigorifero e ho visto che Liza aveva comprato 8 galloni di acqua. Per la cronaca un gallone è circa 3,7 litri. Questi americani sono bravissimi nell'impanicare la gente. Hanno detto alla tv "si spera che non si tratti di settimane ma solo di giorni" e tutti si sono fiondati al supermercato a svaligiare i liquidi. Ok, capisco l'acqua perché ce n'è bisogno oltre che per bere anche per lavare i piatti e per lavarsi, ma perché fare fuori anche tutte le bibite gassate come la dottor pepper? Mica è scoppiato il rubinetto della fabbrica. Ovviamente l'allarme è rientrato la sera stessa del mio ritorno e tutta questa gente ora non sa che farsene di questo liquido strano. Ho visto status su facebook che dicono:
"e ora cosa farò con tutta quest'acqua?"
"bevila"
"mi fa schifo, preferisco la coca cola"
"e allora perché l'hai comprata?"
"colpa della tv"
Chissà, magari tutto ciò farà scoprire l'acqua a questi bollicine addicted e non tutto il male sarà venuto per nuocere. Anyway, è iniziato il mio conto alla rovescia, il ritorno è sempre più vicino. Ieri sono andata in aeroporto per un arrivederci, e al mio ritorno a casa ho ripensato al giorno in cui sono arrivata sola e spaventata in questa città. Non avevo ancora un blog e non ve ne ho mai parlato. Avevo una valigia da 20 kg, uno zaino da 10 kg, la borsa del pc e la borsetta. Ero stanchissima dal volo, e chiedevo aiuto a chiunque per gli inaffrontabili scalini dell'autobus e della metropolitana. Sull'autobus ho chiesto a una coppia se conoscevano la zona del mio ostello e se era pericolosa. Mi hanno sorriso e mi hanno detto che potevo stare tranquilla, che tutta Boston è very safe. Mentre stavo salendo sulla metro sbagliata sono venuti a dirmelo e ad indicarmi quella giusta. Poi sono crollata a dormire in ostello e mi sono svegliata la mattina dopo con un sole bellissimo e la prima cosa che ho visitato è stata Newbury Street. Durante quella passeggiata fino al parco ho percepito distintamente l'inizio del mio percorso di rinascita. Adesso invece è giunta la fine, sto per tornare a casa carica e felice [shhht]. Mentre tornavo dall'aeroporto ieri le mie sensazioni erano diverse. I luoghi sono ora familiari e mi danno sicurezza. Questo posto posso veramente chiamarlo casa. Gli ultimi due mesi sono stati qualcosa di talmente bello e intenso da non essere mai riuscita a trovare le parole giuste per rendere l'idea. Le parole non sempre sono indispensabili. Ora ho quattro giorni per ripensare a tutti questi viaggi nel viaggio, alla fine della solitudine, ai sorrisi, alle città nuove, alla gente, alle milletrecento foto in sei mesi. Grazie Boston, di cuore.

domenica 2 maggio 2010

Los Angeles

Jenny, la ragazza che ci ospita a casa sua, è venuta a prenderci alla stazione degli autobus con la sua fidata Mustang nera. Lei abita sulle colline sopra a Malibù ed è gentilissima. Tutti coloro che ci sono stati mi hanno detto che visitare Los Angeles da turisti normali è piuttosto noioso e inutile perché i trasporti pubblici non sono sufficienti a coprire una area così vasta, ed avere un auto e conoscere i posti è assolutamente indispensabile. Jenny ci ha portato ovunque, e tutto intorno è un riconoscere luoghi visti nei film come Beverly Hills, Melrose e Mulholland drive. Siamo stati a Malibù sulla spiaggia dei surfisti, a Venice beach dove hanno tentato di ricreare i canali veneziani, a Santa Monica dove c'è la spiaggia di Baywatch e a Hollywood lungo la hall of fame. Nel frattempo dal resto dell'america giungono notizie poco confortanti. A New York hanno tentato di far esplodere una bomba a Times Square di sabato sera, a New Orleans sta arrivando una chiazza di petrolio enorme e a Boston è scoppiata la conduttura generale dell'acqua costringendo due milioni di persone a comprare le bottiglie per bere. Domani sera ci ritorno e spero che siano riusciti a riparare il tutto in qualche modo. Questi ultimi scampoli di america stanno passando in frettissima e mi sto divertendo tanto, ma non vedo l'ora di tornare.

venerdì 30 aprile 2010

Golden gate bridge

Ho sempre pensato che il ponte più bello del mondo fosse il ponte di Brooklyn, ma oggi ho cambiato idea. Il rossissimo golden gate bridge lascia senza fiato al punto da fare impallidire tutti i suoi simili. Questa mattina ci siamo alzati di buon ora e abbiamo preso l'autobus che ci ha scaricato lì davanti. Devo avergli scattato tipo trenta foto, che alla fine erano tutte uguali e ho tenuto solo le migliori. Dopo averlo percorso per metà siamo tornati indietro e ci siamo incamminati lungo la passeggiata che segue il corso del fiume. Una chiacchiera tira l'altra, e alla fine siamo arrivati davanti a Ghirardelli. Io ora devo spiegarvi cos'è, perché se non lo sapete e capitate da queste parti, questa informazione potrebbe dare un senso alla vostra vita. Ghirardelli è una cioccolateria storica di San Francisco, dove fanno cioccolate in tazza e gelati che ribaltano ogni precedente percezione sensoriale. Quando ci siamo passati davanti con l'autobus all'andata un signore di mezza età ha informato tutti i presenti che è lì che lui ha portato sua moglie al primo appuntamento. Per smaltire i peccati di gola poi abbiamo deciso di proseguire l'itinerario a piedi. Appena giunta in camera ho controllato per curiosità l'ammontare dei km percorsi su google maps, e con sommo sbigottimento ho visualizzato l'impensabile cifra di 9,5.
Che dire, i saliscendi per le colline di Frisco temprano. Comunque, domani si andrà a prendere un bus che dopo sette ore ci scaricherà a Los Angeles, e lasceremo a malincuore questa città meravigliosa.


giovedì 29 aprile 2010

Castro, Haight, e le foto di notte.

Ieri, giornata fricchettona. Abbiamo preso un tram milanese, nel senso che l'hanno proprio comprato dal comune di Milano e trasportato qui non si sa come, e siamo arrivati a Castro, il quartiere reso famoso dal film Milk. Tutto è colorato, le bandiere arcobaleno sono su ogni edificio nella via centrale. Le case sono dipinte di colori sgargianti e la gente intorno è felice. Ho scoperto che proprio lì dietro ci sono due colline gemelle chiamate twin peaks, anvedi come è piccolo il mondo, ora so anche dove è che hanno ucciso Laura Palmer. Percorrendo Castro Street, e attraversando il Buena Vista park, poi si arriva al quartiere Haight, dove ci vivono ancora tutti i fricchettoni dagli anni '60 in poi. Anche qui le case sono colorate, e ci sono millemila negozi di ogni tipo. In fondo alla strada c'è l'amoeba, il negozio di dischi più grande e bello e fornito che abbia mai visto in tutta la mia modesta vita. Quando si pianificano gli itinerari di cammino, bisognerebbe anche tenere conto di questi intoppi che ti portano via almeno un paio d'ore. Poi, abbiamo scoperto che prima dell'ingresso al Golden Gate park, il mercoledì pomeriggio c'è il mercato delle verdure, e abbiamo approfittato per fare la spesa per la cena. Dopo cena abbiamo fatto un giro fotografico notturno che ha portato alla contemplazione di questo paesaggio per un tempo indefinito. Sospiro.

mercoledì 28 aprile 2010

San Francisco

La vostra eroina dai polpacci d'acciaio è reduce da una camminata di circa otto ore intorno alla città delle colline. Mi avevano detto che era bella ma non credevo che fosse così bella. Non fosse che New York è New York, si piazzerebbe al primo posto nella lista delle città da vedere assolutamente, ma arriva seconda di poco. Abbiamo visto l'enorme chinatown, la caratteristica little italy, il meraviglioso porto con vista sull'isola di Alcatraz e sul golden gate bridge, i leoni marini, la super salita di Lombard street, l'imponente grace cathedral, la piazza salotto Union Square. Tutto questo saliscendi dopo un po' fa venire il mal di mare. E' inimmaginabile quanto pendano le strade qui. In certi punti è obbligatorio parcheggiare le auto a novanta gradi, altrimenti il baricentro spostato rischierebbe di farle capottare. Io avrei seri problemi a guidare da queste parti, le super discese mi hanno sempre intimorito. Gli autobus fanno solo le strade orizzontali con poca pendenza, per scavalcare le collinette ci sono quattro linee di tram, sui quali una corsa costa ben cinque dollari. E' facile intuire perché qui ci siano molte meno persone sovrappeso rispetto al resto degli Stati Uniti. La pioggerellina ci ha tenuto compagnia per quasi tutta la giornata, ma senza essere fastidiosa. Abbiamo ancora due giorni e mezzo per esplorare il resto della città e non vedo l'ora. Mi piace tanto.

Curiosità: Alcatraz, il leone marino, cosa non si può fare con un microonde.

martedì 27 aprile 2010

How are things on the West Coast?

Ieri mattina abbiamo lasciato Dallas. Dopo esserci preparati succulenti panini in aeroporto (vista la precedente esperienza) siamo saliti sul volo per San Francisco, con scalo a Phoenix. Ero seduta accanto al finestrino e così mi sono potuta rendere conto di cosa è l'Arizona. Ho visto un enorme deserto di nulla, infinito, circondato dalle montagne, con letteralmente zero case per chilometri e chilometri. Alla fine di questo deserto inizia una distesa altrettanto infinita di cemento, che è Phoenix. Anche questo volo era in ritardo e per prendere il secondo abbiamo battuto il record dei 400 siepi con salto di valigie. E poi, dopo due ore e mezza, finalmente San Francisco. Verso la fine di dicembre ero stata molto indecisa, riguardo al fare la seconda parte di corso in questa città, ma poi a Boston mi sentivo a casa e sono rimasta lì. Non vedevo l'ora di venire a scoprire se avevo fatto bene o no. San Francisco è sicuramente molto caratteristica e viva, e sono convinta che ci si passerà una bella vacanza. Se invece la guardo dal punto di vista esclusivamente pratico, non ho rimpianti. Come saprete, la conformazione morfologica rende difficili le lunghe camminate a piedi, dopo mezza giornata di esplorazione ho già male ai polpacci per colpa delle innumerevoli salite. I trasporti pubblici sono carissimi, la metropolitana si paga un tot a fermate, quindi se devi andare lontano roba che la paghi anche dieci dollari a corsa. Per mangiare siamo andati a fare la spesa per risparmiare, e abbiamo pagato 4 dollari per tre pomodori, 4 dollari per 4 mele e 6 dollari per dei biscotti perché il tipo si è sbagliato e ce li ha battuti due volte ma ce ne siamo accorti troppo tardi. Probabilmente se avessi deciso di terminare il corso qui, al termine sarei tornata a casa senza potermi permettere tutti questi viaggetti. Per non parlare del clima, che ci ha accolto con nebbia, pioggia e umidità. Ok, qui non nevica mai, ma se devo stare 300 giorni l'anno senza vedere il sole forse è meglio vederlo alternato con delle nevicate da paura per quattro mesi, e stare bene tutto il resto dell'anno. Del resto una famosa citazione, erroneamente attribuita a Mark Twain definisce l'estate di San Francisco come "l'inverno più freddo di tutta la sua vita". Dei terremoti poi non ne parliamo nemmeno, giusto per scaramanzia. Bene, ora che non ho più rimpianti posso andare là fuori e godermela fino in fondo. San Francisco arrivooooo!!


lunedì 26 aprile 2010

Dallas

And the winner is: Dallas. Questa città vince il premio per essere la più noiosa e inutile fra quelle che ho visitato negli Stati Uniti. Il centro è composto esclusivamente da palazzi di uffici, ed essendo andati a visitarla di domenica, sembrava una cattedrale nel deserto. Fortunatamente per arrivare lì abbiamo sbagliato autobus e ci siamo trovati davanti a un parco con una bella ruota panoramica, che ci ha concesso di fare un ottimo pic nic. Il bus di ritorno, visto che ci stavamo annoiando, l'abbiamo preso a metà pomeriggio, e siamo scesi davanti a un supermercato per comprare gli ingredienti utili a cucinare gli spaghetti alla carbonara. L'ostello ha infatti una cucina vera e propria da casa, ed era un peccato non approfittarne. Dopo aver spazzolato una porzione pantagruelica, è entrato dalla porta Carlos, il gestore di questo porto di mare. Tra quindici minuti vi porto tutti a prendere il gelato, ha sentenziato appena varcata la soglia. Io ero stanca, ma ho pensato che almeno la passeggiata per la gelateria mi avrebbe agevolato la digestione. Invece, appena fuori dalla porta mi sono resa conto che stava caricando tutti nel suo mega suv a nove posti. Appena l'ho visto realizzato immediatamente quanto può rendere un ostello. Dopo venti minuti di macchina non eravamo ancora arrivati. In Texas everything is bigger, ci dice, anche le distanze. Dopo mezz'ora siamo giunti in quella che secondo lui è la migliore gelateria della nazione. Ordino il gelato più piccolo, e mi vedo consegnare un cono stracolmo di misura extralarge. In Texas everything is bigger, mi ripete Carlos.

Extra: la foto del drive bancomat che vi dicevo l'altro giorno. Unbelievable.

domenica 25 aprile 2010

Fort Worth

Nel centro storico di Fort worth il tempo si è fermato nel far west. Ovunque ci sono saloon e cow boys. Tutti i giorni alle undici e alle quattro c'è la sfilata delle vacche langhorne, di rientro dal pascolo. E' possibile partecipare a un rodeo, farsi un giro sul treno vintage del 1808, assistere a un concerto country o mangiare una bistecca come dio comanda. Io sono semi vegetariana, nel senso che la carne almeno un paio di volte al mese la devo mangiare, ma a questo giro direi che sono a posto per un po'. La sirloin steak che ho mangiato era al sangue ma era così tenera da sciogliersi in bocca, per non parlare della bontà della salsina. Secondo me era anche meglio della fiorentina che mangiai in toscana, ma c'è chi si oppone fermamente, e quindi al mio ritorno pare che dovrò andare a mangiarne una per vedere chi ha ragione. I texani che passeggiano per le strade o sono pagati dalla pro loco, o il cappello gli stivali e il cinturone ce li hanno nel sangue. I pick up tamarri con tanto di stereo a palla, pure. Come in tutte le cose c'è chi è un amante del passato e chi preferisce il presente. Gli antagonisti dei cow boys sono i numerosi possessori di harley davidson. Loro preferiscono lustrare i loro cavalli d'acciaio, parcheggiarli davanti ai saloon mentre si pavoneggiano con una birra in mano. In un certo senso questo posto è un po' simile a Miami beach. O almeno lo è stata la nostra reazione. Ad un certo punto ci siamo seduti in un posto nella via centrale ad osservare la sfilata continua di tamarri, sia che fossero a cavallo, in harley o in pick up. L'unica differenza è che a Miami avevano le ferrari. Le foto, qui.

sabato 24 aprile 2010

San Mac Donald

Se in un viaggio non c'è avventura non ci piace.
"C'è la cena sul volo?"
"Si ho letto che dice cena food market"
Peccato che quel market significasse che per cenare sull'aereo dovevi vendere un rene per potertela permettere.
"Mangiamo due biscotti e poi rimandiamo la cena a quando atterriamo"
"Ok, tanto in aeroporto qualcosa da mangiare lo si trova di sicuro"
Il volo è atterrato in ritardo, intorno alle undici di sera, e tutti i bar dell'aeroporto di Dallas erano già chiusi. I panini della macchinetta ci sono sembrati oro, ma dopo dieci tentativi l'apparecchio infernale non ha accettato nessuna delle nostre carte di credito.
"E' tardi, dobbiamo correre via altrimenti perdiamo il bus per l'ultimo treno"
Preso il bus al volo.
"Ma perché non abbiamo provato a pagare in contanti?"
"Bella domanda, credo sia perché dopo mesi in america abbiamo preso il loro vizio di swipe the card"
"Dai magari nella stazione di partenza o di arrivo c'è un'altra macchinetta e ci riproviamo"
La stazione vicino all'aeroporto era completamente deserta, c'era solo una tettoia, due binari, due panchine, due macchinette. La prima serviva per comprare i biglietti e ci siamo riusciti senza problemi. La seconda io avrei dovuto fotografarla. Aveva solo qualche cioccolata, ma con la carta sbiadita dal sole. Praticamente dentro c'erano solo luisone. Nella stazione di arrivo, un paesello sperduto in mezzo a Dallas e Fort Worth, non c'era neanche l'ombra di un distributore automatico. A quel punto nel mezzo del nulla ho visto una M gialla in lontananza che per me è stato come vedere la M della madonna che diceva sono qui, e invece era Mac Donald. Non avrei mai creduto in vita mia di mangiare così di gusto un hamburger pieno di qualsiasi schifezza. Poi, camminando verso l'ostello abbiamo visto una cosa che se non avessimo mangiato avrei creduto si trattasse di un'allucinazione da fame. L'enorme struttura bianca e luminosa si presentava con l'aspetto di una stazione di servizio bianca e scintillante, ma con il cartellone Bank of America.
"Da quando in qua la banca vende la benzina?"
"Ma se guardi bene quelle non sono pompe di benzina"
"Oddio è vero, non c'è il tubo"
"Sono bancomat! Così i culoni non devono fare la fatica di scendere dall'auto per prelevare i soldi"
"Unbelievable, passino il mac drive e il drive in, ma la drive bank le supera veramente tutte!"
Dopo cinque minuti a piedi siamo arrivati all'ostello, e abbiamo realizzato che è simile a quello di New Orleans. E' una casa privata riadattata, dove hanno messo letti a castello in tutte le camere e aggiunto fabbricati con bagni e docce. L'atmosfera in salotto è incredibile, sembra di essere davvero a casa di qualcuno. Ora si va nel supermercato di fronte a comprare la colazione, e poi si torna alla stazione a prendere il trenino per Fort Worth. Stay tuned.

mercoledì 21 aprile 2010

On the road.

Dopo un discreto zoo di persone che sono passate da casa a vedere la mia stanza, abbiamo finalmente trovato una tizia che prenderà il mio posto. La ragazza è brasiliana, studia alla harvard medical school e ha passato l'esame più difficile: non si è spaventata quando il generale Liza gli ha elencato le regole della casa: pulire sempre e non fare party. In realtà l'atmosfera è più chill, ma a lei gode a spaventare tutti, perché così poi la prendono di più sul serio. La tizia subentrerà il quindici maggio, così io avrò un tetto fino alla mia partenza (vulcani islandesi permettendo). Questi giorni stanno scorrendo velocissimi e per la prima volta intravedo la fine di questa avventura. La settimana scorsa ho fatto un mega pacco con i vestiti invernali più pesanti e me lo sono spedito in Italia per "soli" 80 dollari. Forse visto il contenuto ci risparmiavo se li lasciavo qua, ma sono una sentimentalona e sono affezionata alle mie cose. Come abbandonare gli scarponi fidati che mi hanno salvato più di una volta dalle bufere di neve?? Impossibile. Fra due giorni parto per l'ultimo viaggetto in terra statunitense, e sto cercando di preparare uno zaino che mi permetta di sopravvivere. Purtroppo le compagnie aeree americane fanno tutte pagare il bagaglio imbarcato, dai 25 ai 40 dollari per tratta, e siccome di aerei ne dovrò prendere tre, mi sono imposta che io questi soldi li devo risparmiare per forza, anche perché non vado a raccoglierli sugli alberi. Perciò la grande impresa sarà stare in viaggio dieci giorni con il solo bagaglio a mano, mettendo in previsione il passaggio da un paio di lavanderie a gettoni. La prima tappa è Dallas, in Texas. Perché non Austin o Houston? Perché vicino a Dallas c'è Fort Worth, che sembra essere la cittadina del vecchio far west meglio conservata ai giorni nostri. Lì ci sono ancora i saloon e i rodei. Bisogna stare attenti ai pazzi che sparano in aria, ma credo che ne valga la pena. Poi da lì si va a San Francisco per cinque giorni, e dire che non vedo l'ora è poco. Per non perdere le buone abitudini americane, abbiamo deciso che da lì si riparte per Los Angeles in autobus. Sette ore di bus panoramico attraverso la California. C'è chi dice che il paesaggio se le merita tutte, ma io spero che il wi-fi ci sia e funzioni. Poi a Los Angeles ci ospita un'amica che ha promesso di portarci in giro nei dintorni. Dopodiché si ritorna a Boston, si chiudono in valigia gli ultimi sette mesi e si ritorna a casa. Cosa succederà dopo non ci è dato saperlo, ma sembrano esserci buone prospettive all'orizzonte. Everything is gonna be alright, dicono sempre da queste parti.

lunedì 19 aprile 2010

New York, again.

Questo fine settimana sono tornata a New York in autobus. Questa volta ho provato un'altra compagnia low cost, la megabus. Per ora la mia preferita resta bolt bus perché sono organizzati meglio. Fortunatamente anche se quando sono partita da Boston pioveva, nella grande mela il clima questa volta è stato mite. Essendo stata la mia terza volta in città, questa volta ho scattato pochissime foto e me la sono invece goduta a pieno. Come è facile immaginare New York è un posto in cui ci puoi tornare anche cento volte senza annoiarti mai. Sabato era il record store day, e abbiamo passato parte del pomeriggio a rovistare fra i cd da J&R, e da the other music, mentre un componente degli animal collective faceva il dj set in sottofondo. Ieri nel nostro ostello c'erano alcuni ragazzi europei rimasti bloccati per colpa del vulcano islandese. Spero che tra una ventina di giorni sia tutto sistemato, che ho una gran voglia di tornare a casa a mangiare lasagne al forno e fiorentine. Devo anche provare il panino col lampredotto. A questo giro ci siamo trattati bene, dopo mesi di schifezze il salutismo imperversa e i fast food sono stati evitati con cura. Solo insalatine e panini da whole foods. Quello di Tribeca è uno schiaffo alla miseria, un monumento al design tutto colorato. E' grande come tutto il centro della città dove abito, ed è venti volte il suo cugino bostoniano. In questa catena di supermercati vendono anche deliziosi cibi preparati, a peso. Il prezzo al kg è lo stesso per la carne, la pasta e l'insalata. Per non farsi spennare bisogna solo essere bravi a mixare gli alimenti più nutrienti che pesano meno. La spesa media per non uscire da lì con la fame è di 6 dollari. Voglio ricordarmi tutto di questo viaggio, ma in particolare la passeggiata intorno al lago a central park, e l'esplosione di luci a times square di sera.

Extra:
- la caserma dove hanno girato il film ghostbusters: 1 e 2,
- qualcuno ha pensato a quel progetto di esportare la piadina romagnola,
- il video girato a Times square di notte,
- il video dei breakdancers a battery park,
- perhaps.

martedì 13 aprile 2010

Gente strana.

A casa stiamo vedendo gente per riaffittare la mia stanza. Come si sa, la selezione del nuovo coinquilino è sempre una scocciatura e spesso si viene a contatto con esemplari umani unici nel loro genere. Il tizio di oggi, era particolarmente assurdo. Quando mi ha risposto all'annuncio, gli ho chiesto di dirmi qualcosa sul suo conto. Tipo "sono uno studente 25enne" o vattelapesca. Bill invece mi ha scritto una filippica sul perché la convivenza con la coinquilina precedente non era andata a buon fine. "Lei si era innamorata di me e non accettava di vivere con una persona che non la ricambiava". Sarebbe bastato questo per cestinare la mail, ma noi siamo curiosi. Oggi, giorno fissato per la visita della stanza, alle due Bill manda un messaggio per chiedere le indicazioni stradali per la casa. Io via mail gli avevo già fornito l'indirizzo e guarda te se mi doveva capitare l'unico americano senza iphone con la google maps application. Gli scrivo: "esci dalla metro, gira a sinistra e poi a destra, e poi trova il numero civico". Easy.
Alle sei e mezza, ora prefissata, non si fa vivo nessuno.
Alle sette gli mando un messaggio: "stai arrivando?"
Alle sette e mezza lui chiama per dire che sta arrivando. Bene.
Alle otto chiama per dire che è ancora all'università e arriverà entro un'ora.
Alle otto e quarantacinque chiama per dire che è uscito dalla metro e che si è perso. Passo il telefono a Liza, che si sta imbufalendo.
L: quale parte di volta a sinistra e poi a destra non ti è chiara?
B: ma non lo so, sono qui su una strada intrafficata.
L: hai sbagliato uscita della metro, torna indietro e poi esci dall'altra parte.
B: ma non ci capisco niente qui.
L: senti, hai il nome della via, chiedi a un passante.
B: facciamo che vieni qui tu a prendermi?
L: veramente sono in pigiama.
B: non me ne frega un cazzo se sei in pigiama, per me puoi scendere anche in mutande!
L: credo che questa conversazione debba finire qui.
E gli butta il telefono in faccia. Un microsecondo dopo arriva un messaggio "allora scendi o no?" Lei spegne il telefono. Dopo un po' lo riaccende e appaiono due messaggi di insulti.

lunedì 12 aprile 2010

Marblehead

Ieri sera Liza è arrivata a casa saltellante, e ha comunicato che entro dieci minuti bisognava trovarsi tutti al pub di fronte, compresa me che ero quasi in pigiama. La serata è proseguita vedendo transitare sul tavolo guinness, whiskey e porto. L'allegria regnava sovrana, e due ragazze sedute al tavolo accanto hanno chiesto se potevano farci una foto per ricordo perché eravamo troppo bellini. Alla fine il manager del pub si è seduto al tavolo con noi e prima di raccontarci la sua vita, ha iniziato un elogio delle birre presenti sul menù. All'una e sottolineo all'una, è arrivata la madre a prenderlo perché la sua volvo di quindici anni ha il motore fuso, e dopo essersi scusato ci ha mandato via perché il pub doveva chiudere. All'una di sabato sera. This is new england, baby. Fortunatamente questa terra si è sdebitata nella giornata di oggi. Il programma della domenica infatti prevedeva una gita a Marblehead, ridente villaggio di pescatori situato nel nord del Massachusetts. L'atmosfera che c'è a Fort Sewall è indescrivibile a parole, perciò vi ho fatto un video. Per il resto ci sono le solite foto.

venerdì 9 aprile 2010

Con i piedi piantati nel presente.

Quando sono rientrata a Boston ci ho messo due giorni per riprendermi: non ero più abituata a queste botte di vita. Mercoledì e Giovedì sono andata in ufficio da Johanna e oggi siamo già a Venerdì. Ieri è stato il mio ultimo giorno da lei, e ho inserito i dati delle fatture in excel con una colonna sonora costante di Johanna che mi demoliva la mia futura vita in Italia. Tu, tornerai in Italia e vivrai con tuo padre per il resto dei tuoi giorni, non ti sembra triste come cosa? Ha tentato di convincermi in tutti i modi a rimanere e ancora non si è arresa. Mi ha detto che appena partirà con il franchising del suo ristorante e avrà bisogno di qualcuno fidato per gestire tutto l'ambaradan, si farà sicuramente risentire via e-mail. Anche se suona quasi come una minaccia, mi ha fatto piacere. A questo punto ricostruirsi una valida vita alternativa nel bel paese diventa quasi una sfida, per poterle dire no grazie, quando e se si farà viva. Manca ancora un mese al mio ritorno, e per passare il tempo sto organizzando un giro in Texas e in California. Purtroppo la mia testa tende ad iniziare a pensare al dopo. Ho un diavoletto sulla spalla sinistra che mi dice di ripartire subito per una destinazione europea finché sono in tempo, e poi ho anche un angioletto sulla spalla destra che mi dice di cercarmi un lavoro a Bologna/Firenze/Milano. Mi sento super spaesata e non ho nemmeno tutta questa voglia di pensarci adesso. Per il momento mi godo la primavera bostoniana, e rimando le decisioni e le ricerche alla settimana prima del rientro.
A proposito, le statistiche del mio blog mi dicono che c'è una persona che lavora nell'azienda dei miei sogni che viene qui a leggermi tutti i giorni. Si, tu. Non ho idea di chi tu sia, ma visto che il mio blog ti piace tanto, se ti mando un curriculum mi aiuteresti??

sabato 3 aprile 2010

New Orleans

New Orleans è devastante. Forse alloggiando nel centro città lo è un po' meno, ma i dintorni dell'india house (il nostro ostello) parlano da soli. L'uragano Katrina è passato cinque anni fa, ma in alcune zone sembrano cinque mesi. All'uscita dell'aeroporto non c'era l'ombra di un mezzo pubblico, e siamo saliti su un taxi. Lionel, il tassista nero è nato qui. Avrebbe dovuto fare il cabarettista. Ci ha intrattenuto per tutto il viaggio, raccontandoci qualsiasi cosa sulla città. Cinque anni fa, quando al telegiornale pochi giorni prima avevano preavvisato l'uragano, si è trasferito per sei settimane a casa di amici più a Nord, e per questo è scampato al disastro. Gli abbiamo chiesto come mai non siano scappati tutti come lui, e ci ha risposto che gli uragani accadono di frequente da queste parti, e la gente non ha i soldi per scappare via tutte le volte. L'allarme per Katrina non era stato particolarmente sottolineato, e a causa di questo è successo il disastro. L'ostello a giudicare dal grande numero di commenti positivi sulla rete è una delle migliori sistemazioni in città a buon prezzo. Sembra la casa di un hippie fuggito dagli anni 60. Alle pareti ci sono le foto della strada dopo l'uragano, e le foto della risistemazione. In giardino c'è addirittura una piscina esterna. L'edificio è come tanti altri sopravvissuti al disastro, e poi ristrutturati. Sembra che una forza abbia tirato verso l'alto le case e poi le abbia riappoggiate giù. Appena arrivati abbiamo fatto una passeggiata fotografica nei dintorni, e sono rimasta senza fiato. La periferia, con tutte queste case semidistrutte ti atterrisce. I marciapiedi sono per lo più divelti. Le aiuole non sono tagliate e le erbacce sono alte. I pali della luce sono tutti storti. Per le strade passano auto di ragazzi neri con la musica a tutto volume, che rallentano e ti squadrano. L'atmosfera di abbandono mi trasmette una sensazione allucinante, come se tutte quelle anime vagassero ancora senza pace per la città a cui sono state strappate. Passare da Miami a qui è come passare dal pieno giorno alla notte più buia. Poco dopo sulla destra ci si mostra imponente il palazzetto che è apparso su tutti i giornali per le mostruosità che sono successe al suo interno nei giorni immediatamente successivi alla tragedia. Trecento passi più avanti inizia il centro città ed è come se nulla fosse accaduto. Tutto è ristrutturato e colorato. Il french quarter è affollatissimo di turisti. Voltiamo su Bourbon street, la strada famosa per gli innumerevoli locali blues e jazz ed è tutta una festa. Sembra un altro pianeta. In quasi tutti i locali ci sono concerti live, la gente beve per le strade, e i palazzi colorati sembrano usciti dal vecchio west. Al termine della via, arriviamo al lungo fiume e così senza preavviso ci ritroviamo davanti al Mississippi River. Questo enorme fiume stracolmo d'acqua non può fare altro che lasciare senza parole. Camminiamo ancora storditi da questo turbine di emozioni contrastanti, e passiamo davanti a un posto che vende bastoncini di carne di coccodrillo come snack. Ne ho assaggiato uno e devo dire che non è male, anche se un po' troppo piccante. Poi in serata, siccome ero ancora in vena di provare cose nuove ho assaggiato anche la dottor Pepper. La d.p. è la bevanda più dolce che esista al mondo, sembra un ghiacciolo all'amarena sciolto con l'aggiunta di anidride carbonica. Un tizio del Wisconsin che ci ha attaccato bottone in ostello ci ha detto che da bambino ne andava matto e ne ha bevuti un sacco di galloni. Il tizio era fuori come un balcone e io sospetto che ci sia rimasto per colpa della bevanda in questione. Una persona normale a vivere nel Wisconsin non ci andrebbe mai. Io se domani non posto è perché la dottor pepper mi ha resuscitato il coccodrillo nella pancia. Burp.

venerdì 2 aprile 2010

Key Biscayne

Key Biscayne è un'isola collegata a Miami da un ponte, raggiungibile con un autobus per soli due dollari. Oggi ho fatto il primo bagno al mare della stagione e per il resto voglio lasciare parlare le immagini:



Devo aggiungere altro?

giovedì 1 aprile 2010

Miami beach

Miami beach è l'apoteosi del tamarro (ricco). Immaginatevi la fusione dell'atmosfera di Milano marittima, Riccione e Ibiza a ferragosto, moltiplicata per trecento giorni l'anno. Ho visto più ferrari oggi girare su Ocean Drive, che in tutta la mia vita in Italia. Le auto più gettonate sono Mustang, Porsche e Corvette. Ho anche fotografato una Aston Martin. Se guardate le foto che ho aggiunto in fondo all'album di Miami, tenete conto che sono state scattate un mercoledì pomeriggio di fine marzo, e non oso pensare cosa sia un sabato sera di luglio. Io generalmente i posti come questo li odio un po', ma è tutto talmente esagerato che almeno una volta nella vita va visto. Al mattino abbiamo preso il sole a north beach, dove la spiaggia è meno affollata perché l'acqua è fredda a causa delle correnti. Poi siamo scesi verso la zona south, e dopo aver pranzato in una sandwicherie gestita da un francese pazzo, ci siamo spaparanzati sulla spiaggia a south beach. Inizialmente ero talmente bianca che quasi facevo luce, poi dopo sei ore al sole mi sono abbronzata tantissimo senza bruciarmi. Qui i casi sono due: o le creme solari americane sono migliori delle nostre, o il sole di marzo non fa male quanto quello di agosto. La temperatura era circa di ventisei gradi, ma il sole sembrava scottare molto di più. In giro c'erano molti italiani, al contrario di noi erano tutti apparentemente ricconi. C'è chi giura che uno di loro era nientepopodimeno che il signor Della Valle, che stava rientrando nella sua residenza estiva. Le vetrine di un'agenzia immobiliare ci hanno comunicato che un appartamento vista mare da queste parti costa circa un milione di dollari. Probabilmente se si fosse stramiliardari e ci si potesse pagare pranzi e cene nei migliori ristoranti italiani, Miami potrebbe pure essere una città vivibile.