mercoledì 31 marzo 2010

Downtown tour

Potrei scriverci un trattato sul tempo bizzarro degli Stati Uniti. Due giorni prima di partire per Miami abbiamo guardato le previsioni, e ci aveva messo quattro giorni di temporale. Poi invece è arrivato il tornado che si è sfogato mentre noi eravamo in viaggio e ha ripulito tutto il cielo. Ieri siamo usciti di casa in maglietta, ma traumatizzati dal new england abbiamo messo la maglia pesante nello zaino. A Boston infatti, non importa quanto sole ci sia, può diventare tutto scuro da un momento all'altro. Come domenica scorsa che sono entrata da Dunkin Donuts per prendere un iced coffee con un bellissimo sole a picco, e sono uscita che c'erano le nuvole che coprivano il sole e cinque gradi in meno, tanto per farmi rimpiangere di non aver preso un cappuccino. Ieri invece ho capito che in Florida non funziona così. Ci sono stati almeno 26 gradi per tutto il giorno, e a parità di temperatura il sole scotta di più che dalle nostre parti. Abbiamo camminato attorno al porto, e siamo capitati al Bayside, un centro commerciale che vende tutte le cose per la spiaggia. Ai piedi avevo le converse ormai fumanti e le ho convertite con un paio di infradito. E poi, visto che dobbiamo stare qui fino a venerdì, ho anche comprato il costume, che mi serviva proprio per la prossima estaatee al mareee (cit.). All'ora di pranzo siamo entrati in un supermercato, e si narra che in una panchina al sole lì di fronte c'era gente che mangiava panini, gente che approfittava per darsi lo smalto fucsia nei piedi e gente che con uno scatto felino convertiva i jeans con i pantaloni corti comprati da macy's poco prima. Una tizia che è passata di lì probabilmente sta ancora ridendo. La gita è proseguita esplorando il quartiere cubano, nei dintorni di calle ocho. Rispetto ai grattacieli di downtown sembra veramente un altro pianeta. Siamo entrati in un negozio di sigari, che li esponeva tutti alle pareti come se fosse una libreria. Tutto intorno era pieno di divani e sedie a dondolo, per gustare in diretta il prodotto. Il commesso del negozio è italiano e appena ci sente parlare arriva e parte con il suo monologo da compaesà. Ciao, io sono sardo e però la mia seconda regione preferita è la toscana, e quando ero più giovane correvo in squadra con Mario Cipollini, eh che bei tempi, non che adesso mi lamenti però! Fortunatamente ci ha salvato mammà che l'ha chiamato per chiedergli come sta, e siccome lei ha la precedenza, dopo averci venduto il sigaro da fumare ci ha liquidato in zero secondi. Ci siamo seduti sui divani e l'ho provato anch'io. Devo dire che ubriaca più di due bicchieri di vino. Poi abbiamo preso la metropolitana sopraelevata, e qui siamo impazziti. Questa metro è un trenino elettrico panoramico, che viaggia su un binario posto a venti metri da terra, e fa tutto il giro intorno alla città. Abbiamo fatto tantissime foto ai grattacieli, e poi non contenti abbiamo fatto anche il secondo giro, tanto era gratis. Siamo rientrati per cena e abbiamo ordinato online la pizza da domino. Questi sul loro sito hanno un tracker in flash, che ti mostra in tempo reale l'avanzamento della preparazione della tua pizza. Ho cliccato su ordina, e tre secondi dopo mi è comparso il nome del pakistano che ha preso l'ordine (qualcosa tipo yiamlek ha iniziato a fare la tua pizza), poi lui preme un tasto al pc che mi comunica che ci ha messo le cose sopra, che l'ha messa in forno, che l'ha tirata fuori dal forno, e che ci ha fatto il controllo qualità e che l'ha messa nella scatola da portare via. Siamo rimasti ipnotizzati davanti al monitor per dieci minuti e poi siamo corsi fuori a prenderla dietro l'angolo, che se no si raffreddava. Se la pizza fosse stata pure buona, sarebbe stato il top. Visto che vendono cibi, dovrebbero capire che devono investire di più in qualità piuttosto che in tecnologia. Se accanto ci fosse stata la baracchina di salvatore dove devi pazientare trenta minuti lì davanti per gustarti una pizza come si deve, io personalmente l'avrei preferita. Anyway, ora mi metto il costume nuovo e si va all'assalto della spiaggia di South Beach!

martedì 30 marzo 2010

Welcome to Miami!

Ieri mattina verso le sette, la italian society si trovava al Logan airport di Boston, e cercava di imbarcarsi su un aereo per Miami. Alle nove dopo un paio di comunicazioni di ritardi è stata comunicata la cancellazione ufficiale del volo. Ci mettiamo in fila, e l'operatore ci mette su un nuovo volo con cambio a Baltimora. Nel frattempo lo schermo della CNN mostra un allegro tornado in Florida e nelle Caroline. Alle undici l'operatrice prende il microfono e comunica l'annullamento del volo per Baltimora. Per l'aereoporto iniziano ad aggirarsi un centinaio di persone molto incazzate, fra cui una certa kay che se in quel momento avesse avuto fra le mani chi le ha scritto "la storia del paese col più bel clima e cibo del mondo è una cazzata colossale degna del più provinciale e bigotto degli italiani" lo avrebbe come minimo condannato ad un inverno in una gabbia a Boston farcito di snowstorm, blizzard, meno venti gradi centigradi, tornadi, cibandosi delle patate di Nancy ficcate nel microonde e costretto a mangiarsele con la buccia. Questa suddetta kay, si è messa in fila per tutti, e quando dopo venti minuti è arrivata davanti all'operatrice che doveva cambiarle il volo, è venuta a sapere che c'era un volo per Fort Lauderdale con scalo ad Atlanta in partenza dopo cinque minuti, e che il volo successivo per Miami era in via di cancellazione pure quello.
k: mi metta subito su quel volo per Atlanta.
o: ci sto provando...
k: cosa succede?
o: mi si è rotta la stampante...
k: adesso?
o: adesso. e il gate ha già iniziato l'imbarco.
k: non mi interessa, se li faccia stampare dalla collega. uno dei miei amici è già lì davanti e gli sta dicendo di aspettarci.
o: ci provo.
Ho preso i biglietti e dopo una corsa sono arrivata al gate. L'operatore dice al microfono che si è appena verificato un overbooking, e i passeggeri che possono viaggiare flessibilmente sarebbero pregati di tornare al banco. Noi ci facciamo piccoli piccoli e ci siamo messi in coda facendo gli indiani. Qualche santo è uscito dalla coda ed è tornato al banco. Dopo tre ore di volo siamo arrivati ad Atlanda, dove abbiamo aspettato un'ora e siamo saliti sul volo per Fort Lauderdale che si trova a 45 minuti di treno da Miami. Fortunatamente con le coincidenze volo, bus per la stazione, treno, siamo stati fortunati. Alle otto di sera ci siamo ritrovati in una stazione deserta a Miami. L'aspetto positivo dell'arrivare con così tanto ritardo è che la pioggia era cessata un paio d'ore prima. In quella stazione però non c'era nemmeno l'ombra di un taxi. Fortunatamente insieme a noi era sceso un altro passeggero a cui abbiamo chiesto informazioni per la fermata dell'autobus, e lui, il mitico Frank si è offerto di darci un passaggio. Frank è un uomo d'affari che vive da vent'anni a Miami, e che trent'anni fa si è recato in Italia con la moglie. Il cambio era così tanto a loro favore che sono tornati a casa con tredici valigie di gucci, stracolme di vestiti. Ieri sera Frank salvandoci dal nulla con le valigie ha ripagato il suo debito con l'Italia. Le strade della città con le palme e i grattacieli ci hanno fatto dimenticare subito la brutta giornata. Il programma della giornata è uscire fuori per le strade in pantaloni corti e maglietta, cantando la canzone di Will Smith che dice weeelcome to miiiiami. (Sì, Miami è proprio come nel video).

domenica 28 marzo 2010

The Italian society

Ieri mattina ho saputo il risultato del mio esame Toefl. La "sufficienza" richiesta dalla maggior parte delle università per provare che si sarebbe in grado di seguire le lezioni universitarie in inglese è 80. Dopo aver pregato due settimane per un ottanta, ho aperto la pagina del sito e ho visto un 96. L'altra secchiona della classe ha preso 92. Tutti gli altri hanno avuto punteggi inferiori al 90. Inutile raccontarvi di quali salti di gioia sia stata capace. Le mie grandi fatiche sono state finalmente ricompensate. Per ieri sera era prevista una festa di saluto per Yuko, una esuberante ragazza giapponese, che è una delle compagne di classe con cui ho legato di più. Ho preso la palla al balzo e ho festeggiato degnamente il voto. Sono andata alla festa con gli altri tre ragazzi italiani che sono comparsi a scuola qualche settimana fa. Ormai si va in giro spesso insieme e gli altri della scuola ci chiamano "the Italian society". La cucina di Yuko è di trenta metri quadrati (mobili compresi) e dentro ci sono entrate tipo trenta persone. Quelli seduti erano i giapponesi. Quelli che fra guinness, leffe, heineken e canadian beer hanno scelto di bere quest'inutile ultima non potevano che essere coreani. Quelli più ubriachi erano i coinquilini americani. Quelli che ballavano eravamo noi italiani. C'erano altre nazionalità, ma dopo la quarta birra mi si sono annebbiati i ricordi. Comunque devo dire che ho festeggiato adeguatamente, in un momento di entusiasmo ho anche promesso a Yuko che un giorno andrò a trovarla a Tokyo. Il ritorno a casa invece è stato traumatico. Fuori c'erano meno cinque gradi e l'autobus è arrivato dopo trenta minuti. Abbiamo continuato a ballare sul marciapiede per riscaldarci. Poi dice che gli italiani all'estero sono facilmente riconoscibili.

venerdì 26 marzo 2010

Permettetemi uno sfogo

Questa mattina mi sono svegliata pensando a ciò che ho visto e sentito ieri sera a Raiperunanotte. Tutti parlano di Luttazzi, perché giustamente è stato uno dei momenti più alti (e coloriti) della satira italiana degli ultimi anni, ma sono le parole di Monicelli che a me girano ancora in testa, come "la speranza è una trappola inventata dai padroni", e "spero che finisca con una rivoluzione, qualcosa che riscatti veramente questo popolo che è stato sottoposto". Se come me avete aperto lo streaming solo dopo avere letto i millemila twit su Luttazzi, guardatelo. A 95 anni ha dimostrato una lucidità e una coscienza maggiore del cinquanta per cento dei giovani italiani. Alle sette mi sono rigirata nel letto pensando che questa ribellione alla censura, che è stata messa in piedi in due giorni, mi rende per la prima volta orgogliosa del popolo a cui appartengo. La rete può battere la televisione dieci a zero, se non oggi nel futuro immediato. Per un attimo sono chiesta se valga la pena provarci, o se a questo punto è meglio lasciare sprofondare tutto passivamente, come siamo abituati a fare. Durante questo preciso momento, ho guardato fuori dalla finestra qui a Boston e ho visto che stava nevicando intensamente quanto inaspettatamente. Negli Stati Uniti il clima è veramente impossibile. Dove non si congela ci sono venti insopportabili, dove ci sono temperature alte a est c'è il rischio alluvioni e uragani, a ovest c'è il rischio terremoti. La settimana scorsa ci sono stati zero gradi perfino in Texas. Io ho avuto la fortuna di nascere in un paese con il clima e il cibo migliori al mondo e devo andarmene perché quattro stronzi hanno deciso di governarlo come pare a loro? Ma mandiamo questi quattro imbecilli in siberia e buonanotte! Il clima e il cibo sono due cose indispensabili al benessere dell'essere umano, e sono iper sottovalutate. Solo chi passa all'estero più di sei mesi, in modo di passare attraverso stagioni diverse, inizia a rendersi conto veramente di cosa significa il concetto di qualità della vita.

Ora metto il mio faccione davanti al monitor in stile Floriana del grande fratello e vi scrivo quello che penso. Se dopo aver letto mi mandate a quel paese non mi offendo, tanto ci sono già.
ITALIANIIIIII avete rotto le scatole! Siete solo capaci di lamentarvi con il culo appoggiato sulle vostre comode poltrone! Sapete solo dire che bisognerebbe emigrare domani e non lo fate mai per pigrizia o paura. Il lavoro e gli affetti sono scuse! Io mi sono licenziata da un ottimo lavoro a tempo indeterminato e ho mollato in italia da soli per 7 mesi due genitori settantenni che non vivono insieme. Sono passata attraverso un inverno polare, senza l'appoggio degli amici. Le cose se si vogliono fare veramente si fanno, e poche storie! Se vi manca la motivazione per salvare il vostro paese, emigrate! La metà degli emigranti resterà nel nuovo paese per il gusto di prendervi per il culo a distanza, anche se vivono molto peggio, tanto voi non lo saprete mai. La differenza tra l'andare una settimana in vacanza in un posto e viverci, è infatti abissale. Mi piace pensare che l'altra metà degli emigranti invece si renderà conto di quanto valore possiede l'Italia, e di quanto valga la pena tornare e lottare per riprendersela. Vista la baraonda che è successa su Twitter ieri sera, ci sarebbero veramente i numeri per fondare un partito della rete e mandare tutti a casa trasmettendo a blog unificati.

Tornando a me, la settimana scorsa ho detto a Johanna che non passerò l'estate facendo la cameriera a Boston. Io ho un curriculum lavorativo decennale che mi permetterebbe di fare la responsabile amministrativa, il commerciale estero, o la gestione di siti web e-commerce, e non esiste proprio che perda il mio tempo a riempire d'acqua i bicchieri di un culone americano. Voglio che a fare gli sguatteri all'estero ci vadano i figli di Berlusconi. E vaffanculo.

(Questo post è per dare una spiegazione a tutti quelli che mi hanno detto "noooo torni in Italia?" Sì torno in Italia, io mi sono messa in gioco, la mia parte l'ho fatta, e se non ti va bene sei libero/a di andare a pulire i cessi nella nazione che più ti piace. Io torno a riprendermi ciò che mi spetta.)

Featuring Giuni Russo: un'estate al mare


giovedì 25 marzo 2010

Russian democracy

Liza piange e urla tutto il giorno al telefono e poi alle cinque del pomeriggio bussa alla mia porta ed entra nella stanza.
L: ho avuto una giornata difficile, andiamo al supermercato, compriamo qualcosa e prepariamo una buona cena che ne ho bisogno.
K: ma io veramente stavo uscendo per andare alla lavanderia a gettoni.
L: ah giusto, anch'io devo lavare i panni. Va bene, prendo su anche i miei panni sporchi e mentre le lavatrici girano andiamo al supermercato.
K: .....
Viva la democrazia. Alla lavanderia a gettoni ci vado sempre volentieri con un libro per passare un'ora a leggere in relax. Oggi invece devo correre da una parte all'altra del quartiere perché lei ha deciso così. Vaaa bene.
La seguo arrancante nel suo passo veloce. La borsa dei panni sporchi pesa. Arriviamo alla lavanderia e apre lo sportellino, mette il detersivo, butta dentro tutto, spinge il tasto avvio e dice "andiamo?" Io stavo ancora cambiando i soldi. Mi sbrigo, la raggiungo fuori e ci incamminiamo verso il supermercato. Appena entrata prende il cesto e inizia a riempirlo di cose. Avocado, pomodori, riso, peperoni, aglio, cipolla, patate e due fettazze di carne da quattrocento grammi l'una.
K: ma stai facendo la spesa per una settimana vero?
L: no, è la nostra cena. Noi russi mangiamo solo una volta al giorno, però quando mangiamo, mangiamo.
K: se lo sapevo non pranzavo.
Torniamo alla lavanderia a gettone con le borse della spesa.
L: nella mia lavatrice mancano dieci minuti al termine, e nella tua quanto manca?
K: uhm il display è spento, che abbia già finito?
L: ma no, ti sei dimenticata di accenderla!!!
K: ecco vedi, io se faccio le cose di corsa poi mi perdo i pezzi.
L: ok, adesso aspettiamo, poi quando ha finito metti le cose nell'asciugatrice, andiamo a casa, prepariamo la cena, mangiamo e infine torniamo qui a prendere i panni asciutti.
K: eh??? Dopo aver mangiato tutta quella roba io vorrò solo sprofondare nel letto, lo so.
L: poche storie.
Mentre aspettiamo che finisca, Liza inizia una serissima discussione di numismatica col gestore della lavanderia a gettone. Lui ne sa a pacchi, e il suo passatempo preferito è analizzare tutti i quarti di dollaro che passano nelle sue lavatrici. Dice che qualche volta se ha fortuna ne trova uno d'argento o uno anteriore al 1965, che sono quelli che valgono di più.
Finita la discussione riempiamo le asciugatrici, e dopo aver premuto il tasto di accensione torniamo verso casa con una sosta al negozio di alcolici. In Massachusetts quasi nessun supermercato vende alcolici e quindi bisogna recarsi nel negozio apposito muniti di documento di identità. Dietro mio consiglio compriamo una bottiglia di nero d'avola. Una volta arrivate a casa, si rende conto di aver comprato cose per un esercito, e decidiamo di invitare un paio di persone. Dopo mezz'ora di spadellamenti si è giunte alla creazione di piatti alti venti centimetri, che sono poi stati spazzolati in venti secondi. Neanche il tempo di fare il ruttino che la generalessa ha già decretato che uno degli invitati deve lavare i piatti mentre noi torniamo alla lavanderia. Se fosse stato per me, io i panni li avrei lasciati là fino al mattino dopo. Però almeno è stata una buona cosa per digerire. Mentre ripassiamo davanti al negozio di alcolici, che si trova sulla strada del ritorno, vuole tornare dentro e non riesco a fermarla.
L: quel vino era troppo buono, io vado a comprarne un'altra bottiglia.
K: tu mi vuoi male.
L: eh no invece, io lo faccio anche per te.
Esce con la bottiglia in una mano e un sigaro in un'altra. Miss finezza, decisamente. Mi affida la bottiglia e resta fuori in strada a fumare, mentre io salgo di sopra e la apro. I piatti sono già lavati e dopo un altro paio di bicchieri inizio a ridere e penso che dopo mesi di isolamento volontario è davvero ora di ricominciare a vivere.

lunedì 22 marzo 2010

Nel paese delle meraviglie

Uno dei film più carini ambientati a Boston si intitola "Last stop Wonderland". I protagonisti prendono la linea blu della metropolitana e scendono all'ultima fermata che si chiama appunto Wonderland, e si siedono su una panchina davanti al mare. Approfittando dei venti(!) gradi di ieri pomeriggio, ci sono andata anch'io. Ovviamente mezza cittadinanza ha avuto la mia stessa idea, e l'altra metà era sdraiata sul prato del parco in centro. C'era veramente bisogno di sole da queste parti. Le ragazze native oltre a sfoggiare gonne e infradito, addirittura azzardavano bikini sulla spiaggia mostrando pelli di una bianchezza che si pensava impossibile in natura. Una giornata così poi non si poteva non coronare con un gelato enorme, in coppetta small american size. Purtroppo da domani ricomincerà la pioggia, e la durata prevista è circa di una settimana. La scuola è finita e perciò avrò tutto il tempo che voglio per andare in biblioteca e pianificare la gita della settimana prossima. Il programma fai da te prevede quattro giorni a Miami, e tre a New Orleans. Per il momento le uniche idee che ho in testa sono mare e movida per la prima e french quarter per la seconda.

sabato 20 marzo 2010

Spring in Boston

Squillo di trombe. Il più lungo inverno gelido della storia è finalmente finito. La primavera è arrivata da una settimana portando con sé sole, calore e sorrisi ormai dimenticati. Dopo l'adeguato festeggiamento di S. Patricks day in una birreria irlandese del centro, le temperature si sono attestate intorno ai venti gradi centigradi e il cielo è diventato sempre più azzurro. E' ormai possibile passeggiare di sera sul ponte del Charles River senza congelare e scattare foto come questa:



Thank you Boston.

martedì 16 marzo 2010

Bye bye NY

Ieri è stato il terzo e ultimo giorno a New York. Dopo avere scritto il post ho raccolto le forze e sono andata in metropolitana fino a central park. Questa volta purtroppo mi ha un po' deluso a causa dei colori grigi post invernali. La primavera purtroppo non è ancora arrivata, e i vividi ricordi delle bellissime sfumature dell'autumn 2005 sono ancora stampati nella mia mente. Visto che il bus low cost mi è costato solo venti dollari andata e ritorno, quasi quasi ci torno un altro week end fra un mese. Vedremo. A proposito, se mai deciderete di scrollare il culo dalle vostre sedie e di venire a fare un giro da queste parti, vi consiglio di prendere un Boltbus e di inserire nel vostro itinerario un week end a Boston, che merita. Anzi, visto che sono in vena di elargire consigli di viaggio, il New York Loft hostel mi è piaciuto molto, e costa dieci dollari in meno a notte rispetto all'hi hostel. Last but not least è sicuramente più pulito. La lontananza dal centro è uguale, in un caso scendi giù per Manhattan verticalmente, nell'altro arrivi lateralmente da Brooklyn, ma ci metti gli stessi quindici minuti. Ma torniamo al mio giro. Il cubo di vetro della Apple esiste veramente, è proprio lì, davanti al plaza, all'angolo opposto di central park. Poi, tanto per farmi del male sono passata da Park street e sono scesa lungo la quinta avenue invidiando le case e i negozi dei super ricconi. Ma anche no. Fondamentalmente in questo momento la mia libertà vale di più. Quando tornerò con i piedi per terra e sarò costretta ad avere nuovamente una routine lavorativa, probabilmente cambierò idea. Ho fatto una deviazione di percorso per andare a guardare la gente pattinare sul ghiaccio al rockfeller center anche sotto la pioggia. Da lì ho svoltato e proseguendo lungo la settima avenue sono arrivata a Times square. Dopo essere stata a Tokyo la guardo con occhi diversi. Mi ricorda tantissimo Shibuya, con la differenza che non vedo riferimenti a cartoni animati. I giapponesi sono bravissimi a colorare le brutture. Poi ho pranzato in un subway con un five dollar footlong, forse per colpa del jingle della pubblicità che mi era rimasto in testa. Quando sono arrivata sulla trentaquattresima mi sono messa in fila per il bus di ritorno. Quando sono salita ho scoperto che anche sul low cost c'è il wireless gratis, così ho potuto caricare le ultime foto su picasa direttamente da lì. Troppo avanti.

lunedì 15 marzo 2010

New York

Dopo una colazione passata a discutere di politica con un filosofo francese, un cantante jazz di Baltimora e un Polinesiano, sono seduta sul divano in pelle bianca dell'ostello di design canticchiando la canzone degli Lcd Soundsystem che dice "New York I love you, but you're bringing me down". Sì, New York dopo tre giorni di pioggia insistente inizia a buttarmi giù. Sabato sera la natura si è ribellata alla mia dichiarazione di karma positivo e dopo aver provocato un guasto nella metropolitana all'altezza della quattordicesima strada, ha diligentemente rispettato l'allarme "flood" paventato dall'ormai temutissimo weather.com. Io sono scesa a piedi a Soho, con un vento che ribaltava tutti gli ombrelli e la pioggia insistente. Consiglio a tutti un inverno a Boston fra le tormente di neve e il tempo cattivo non vi farà mai più paura. Se guardate le foto qui ogni tanto compare l'immagine dei resti di qualche ombrello abbandonato per la strada, tanto per rendere visivamente l'idea di cosa sono stati quei venti minuti a piedi.Quando sono arrivata davanti al locale e mi hanno chiesto il passaporto per entrare stavo per mettermi a piangere perché mi sono resa conto di averlo dimenticato in ostello. Fortunatamente mi hanno fatto entrare mostrando la fotocopia. Gli A classic education hanno suonato bene, il locale era piccolo ma molto carino. Dopo di loro sono saliti sul palco i Banjo or Freakout, che io non conoscevo ma che metto nella lista delle belle scoperte di questo Marzo 2010. La fauna del locale era per lo più composta da hipster che trasudavano snobismo da ogni poro. Mentre li guardavo pensavo "no, I don't belong here", perché sembrava di essere a Milano. Ieri mattina invece mi sono alzata presto e con la metropolitana sono tornata a Soho e l'ho girata tutta. Non c'è storia, è la parte più bella. Quando sono stata qui cinque anni fa Little Italy era quasi scomparsa, ora invece ho visto con piacere che i ristoranti italiani sono riapparsi in gran numero e ho respirato l'aria di casa a pieni polmoni. Chinatown è sempre più piena di merci e cinesi. Un giorno imploderà. Poi ho proseguito la camminata attraversando il village, e sono salita su per la sesta avenue, arrivando fino alla trentaquattresima. Essendo la seconda volta, sono riuscita a mettere da parte l'immenso stupore paralizzante iniziale che ti prende la prima volta nella grande mela, e sono stata in grado di cogliere i dettagli lungo la passeggiata. Quando ho visto la mega insegna di Macy's la pioggia si stava facendo insistente, e non sono riuscita a trattenere l'impulso che mi ha obbligato ad entrare. Quei nove piani maledetti tentatori pieni di vestiti scarpe e borse. L'altra volta c'ero rimasta cinque ore. Questa volta a causa del budget limitato, ho trascorso lì dentro solo tre ore. Ho comprato i pantaloni corti e le scarpe di tela perché mi sono resa conto di avere prenotato quattro giorni a Miami senza avere con me l'abbigliamento adatto. L'ostello che ho trovato è di fronte alla spiaggia di South Beach, capitemi. Ho due settimane di tempo per trovare un costume.

sabato 13 marzo 2010

Ottimismo.

Perdonate l'assenza. Questa settimana ho avuto molte cose da fare e ho pensato di lasciarvi in stand by su uno dei migliori post partoriti dalla sottoscritta, se non nella forma, almeno nel contenuto. Questa è stata la penultima settimana di scuola, e venerdì ho sostenuto l'esame TOEFL, che se dio vuole certificherà la mia fluenza nella lingua inglese. Purtroppo verrò a conoscenza del risultato solo fra due settimane. In ogni caso ho studiato tantissimo e mi sento ottimista. In questi giorni ho deciso di iscrivermi al partito del karma positivo. Comunque questi signori del toefl ci credono veramente, e mi chiedo se quando li istruiscono gli dicono di fare la faccia cattiva apposta. Alle sette e trenta di mattina noi studenti eravamo tutti davanti alla porta, in fila indiana da bravi scolaretti. Io ero la prima, con gli occhi spalancati a causa della red bull bevuta trenta minuti prima. Fortunatamente le analisi del doping non sono previste. Mi hanno chiamato, mi hanno chiesto il passaporto e dopo aver guardato la foto con i capelli biondi mi hanno detto che non erano sicuri che fossi io. Poi gli ho fatto vedere che cinque pagine dopo c'era la foto recente del visto (in cui avevo una faccia molto incazzata), e non hanno avuto più dubbi sulla mia identità. Mi hanno fatto svuotare le tasche e mettere tutto dentro un armadietto, e mi hanno anche chiesto di rivoltarle per mostrargli che effettivamente fossero vuote. Avete mai provato a rivoltare le tasche dietro dei jeans? Poi mi hanno fatto firmare accanto all'orario di entrata e mi hanno assegnato una postazione al pc con le cuffie. Sono rimasta lì davanti ben quattro ore, con una sola pausa di dieci minuti per andare in bagno. Un'ora di reading, una di listening, una di speaking e una di writing. Roba da spegnere il cervello per i successivi due mesi come minimo. Dopo pranzo invece ho fatto da guida per un tour fotografico di Boston a un ragazzo italiano nuovo della scuola. Un po' l'ho invidiato perché aveva negli occhi lo sguardo curioso che avevo io sei mesi fa, mentre mi aggiravo le prime volte per questa bellissima città. Mentre eravamo sulla metropolitana stavamo parlando in italiano, e ci siamo fatti riconoscere subito. Dovete sapere che tutti gli altri popoli presenti su questo pianeta, quando prendono un mezzo pubblico parlano sottovoce, e gli italiani no. Su facebook hanno anche creato un gruppo per prenderci in giro, e che si chiama tipo "I'm not yelling I'm Italian that's the way we talk" (non sto urlando, sono italiano, noi parliamo così). Ecco, dopo cinque minuti una tipa dall'altra parte del vagone ci strilla "ma quanto urlano gli italiani?" Ci siamo zittiti immediatamente, e abbiamo tenuto la testa bassa fino alla fine della corsa. Che figure. Però è stato divertente. Oggi invece per premiarmi della faticaccia dell'esame sono tornata a New York a trovare un'amica italiana che è venuta in tour con gli A classic education. Purtroppo il tempo è orrendo, e piove a dirotto. Per fortuna il Pianos, il locale del concerto, è vicino alla metropolitana.

domenica 7 marzo 2010

La soffitta di Jo March

Oggi è stato uno dei giorni più interessanti della mia vita. Vi avviso, sarà un post lunghissimo; magari ve lo divido in paragrafi per argomento. Tutto è iniziato così:
Dante: io se fossi in america andrei a vedere Walden Pond
Kay: cos'è?
D: è il lago dove il filosofo trascendentalista Thoreau ha scritto l'omonimo libro.
K: interessante.
Madonna quanto sono ignorante, penso. Non lo conosco questo Thoreau. Il lago sembra bello, si trova nella cittadina di Concord ad un'ora di treno da Boston, va bene, il primo giorno di sole faccio la gita al lago. Ieri, viste le previsioni del tempo ho deciso di andare oggi. Sono passata dalla mia libreria preferita e ho trovato la versione riassunto in 60 pagine del libro di Thoreau. Almeno so cosa vado a vedere, mi sono detta. L'ho letto in due ore. Porca miseria, mi si è aperto un mondo.

[letteratura e filosofia] Thoreau era un anarchico, padre del Trascendentalismo insieme a Ralph Waldo Emerson (che si dice sia stato l'ispiratore di Nietszche), anche lui abitante di Concord. Questi due signori sono stati definiti i due filosofi americani più sottovalutati della storia. Un giorno di metà '800 Thoreau decide di abbandonare baracca e burattini, cammina per un'ora in mezzo ai boschi, e quando arriva al lago di Walden si ferma e costruisce una capanna di legno. Ci vivrà in isolamento dalla società per circa due anni, vivendo di pesca. Il problema è trovare l'acqua da bere quando il lago ghiaccia. Nel libro racconta anche di quando sentiva passare il treno vicino al lago, che era uno dei pochi rumori che gli facevano compagnia. Siccome mi sto allenando per la transiberiana, ho fatto il video. Se sapesse che poco lontano dal suo lago ora ci hanno costruito una tangenziale, probabilmente si rivolterebbe nella tomba. La sua citazione più bella tradotta in italiano suona così: "Andai nei boschi perché volevo vivere con saggezza e in profondità e succhiare tutto il midollo della vita, sbaragliare tutto ciò che non era vita e non scoprire in punto di morte che non avevo vissuto."

[Informazioni turistiche sulla città] Concord è la sorpresa che non ti aspetti, gentilmente liquidata in tre righe dalla Lonely Planet. Per la mappa mi sono dovuta arrangiare come potevo. Se siete dei buoni camminatori è visitabile in una giornata. Oltre a Walden Pond, potete visitare il North bridge, che fu teatro di una battaglia chiave fra inglesi e americani, e il suggestivo cimitero di Sleepy Hollow. Inoltre troverete la casa di Thoreau, di Waldo Emerson, di Hawthorne (famoso per aver scritto la lettera scarlatta), e della Alcott (l'autrice di piccole donne).

[Fuffa autobiografica] Qualcuno ha detto piccole donne? Oltre alla casa della Alcott, c'è anche la casa dove è stato ambientato il romanzo, ed è visitabile. Io non so voi, ma Jo March era il mio idolo quando frequentavo le elementari. Mi ricordo che odiavo letteralmente i vestitini di velluto con i nastrini che mia madre si ostinava a mettermi addosso, e mi sentivo solidale con Jo. Poter vedere la finestrella della sua soffitta, mi ha fatto ringiovanire.

[Il cimitero di Sleepy hollow] Quando l'ho letto ho pensato subito al film, ma poi facendo ricerche in rete ho scoperto che il cimitero a cui fa riferimento l'autore del romanzo omonimo si trova vicino a New York. Però a giudicare dal sito, qui ci sono sepolte persone più interessanti, ed è più grande e più bello. Non giudicatemi male, però certe volte nei cimiteri si fanno foto stupende, mi piace visitarli. Adoro la calma, e la natura in cui sono immersi. In Italia abbiamo il cimitero di Staglieno a Genova, con delle sculture talmente belle che all'estero non ce le hanno neanche nei musei. Una volta che ero di passaggio ci sono andata per fotografare la statua che c'è in copertina su Love Will Tear Us Apart.

[Il lago] Dopo una camminata senza fine ci sono arrivata. Posso testimoniare che è una delle cose più belle che la natura abbia prodotto su questo pianeta. C'è un'atmosfera indescrivibile, e arrivando nel punto dove c'era la capanna di Thoreau si può respirare tutta la magia leggendo i versi stampati su un cartello piantato proprio lì davanti. Sono anche riuscita a fotografare un falco che si era appoggiato su un albero. A proposito, le foto le trovate come al solito qui. Alcune hanno dei colori che mi lasciano incantata, soprattutto per quanto riguarda il cielo.

giovedì 4 marzo 2010

Cosa mi consigli?

Johanna: tu lo sai che oggi non esci da quella porta se non mi dici quali sono i tuoi programmi per il futuro?
Kay: ma io... veramente...
J: ma io, non lo so, e bla bla. Io devo mandare avanti la mia azienda, e quindi se fra un mese abbandoni l'internship amministrativo io lo voglio sapere adesso.
K: ok, sì lascio. Il fatto è che un pochino mi manca casa e poi la scuola finisce...
J: ti manca "un pochino"?
K: beh sì e poi avrei anche bisogno di iniziare a percepire uno Stipendio degno di questo nome.
J: quindi, se ricevessi uno Stipendio, poi dopo ti passerebbe la nostalgia di casa?
K: beh, credo che aiuterebbe, sì.
J: credi. Ma come si fa ad avere trent'anni e a non avere le idee chiare su cosa si vuole? Io alla tua età mi stavo già comprando il mio primo ristorante!
K: è una domanda che mi pongo tutti i giorni...
J: senti, visto che tu non lo sai, ti dico io cosa devi fare. A maggio prendi il tuo aereo, e te ne stai a casa un mese, così ti torna la voglia di scappare via. Poi da giugno a settembre torni a finire l'internship.
K: c'è quel piccolo dettaglio dello Stipendio, che se non mi ci mette quello su un altro aereo per Boston non mi ci mette neanche una gru.
J: ah, sì. Sai quanto prende un cameriere d'estate nel ristorante in centro con le mance?
K: tanto. Tantissimo.
J: ecco se torni, fai un giorno a settimana internship e cinque al ristorante. Cosa te ne pare? Per il visto di lavoro non ti preoccupare, blabla, programma di scambio, blabla, tutto regolare, blabla.
K: interessante. Ci penso su e fra due giorni ti rispondo.
J: e ti pareva che non ci dovessi pensare. Ok, pensaci pure ma non più di due giorni.

Fosse stato d'inverno avrei detto di no, ma d'estate Boston è bellissima.
Pro: un sacco di soldi.
Contro: lavoro da mulo.
Pro: tanta pratica dell'inglese parlato.
Contro: zero tempo per la vita sociale.
Pro: lontano da casa.
Contro: lontano da casa.

Fermo restando che per il momento accetto e nel frattempo continuo a pensarci, voi cosa fareste? Facciamo che per oggi questo blog diventa tipo quei libri gioco dove i lettori decidono per conto del personaggio indeciso?
A pensarci bene questa potrebbe essere l'IDEA. Magari trovo uno sponsor tipo Maria De Filippi e invento la versione 2.0 del grande fratello on-line. Lo sponsor paga e io viaggio dove volete voi, e poi vi racconto tutto col live blogging. Invece del televoto, ci sarà il clicvoto per prendere una decisione ogni volta che ci saranno diramazioni sul percorso. Dov'è che si registrano i copyright?


mercoledì 3 marzo 2010

E' tutta colpa del DNA.

In realtà avevo un particolare motivo personale per visitare Philadelphia. Riguarda la storia della mia famiglia: me l'ha raccontata mia zia poco tempo fa. Verso la fine degli anni venti, i miei bisnonni morirono entrambi in un incidente. Si trattava di una famiglia benestante, e il fratello maggiore, pensò bene di darsela a gambe con i soldi dell'eredità, lasciando mio nonno diciottenne senza il becco di un quattrino. Mio nonno stava facendo il militare nei carabinieri, e finita la leva per forza di cose rimase lì e fece poi carriera, ma questa è un'altra storia. Parliamo invece del fuggitivo, che fece le valigie, e prese con sé la moglie e la figlia appena nata e le mise su un barcone diretto negli Stati Uniti. Dopo settimane di viaggio approdarono a New York, e vennero mandati a Ellis Island. Da lì scesero a sud verso Philadelphia e ci si stabilirono. Aprirono un'attività e gli affari gli andarono a gonfie vele. Nel frattempo anche mio nonno si era sposato, e da bravo fascista aveva sfornato un figlio dopo l'altro, arrivando a collezionarne ben otto. In Italia si era combattuta la guerra, e il senso di colpa nel fratello americano, col tempo prese piede. Per alleviarlo, inviava alla famiglia italiana pacchi di vestiti usati, che nel dopoguerra per chi li riceveva erano come oro colato. Sua figlia vestiva una taglia 40, e mia madre era l'unica che riusciva ad indossare i suoi vestiti, perché le sue sorelle portavano una 42. Era la fine degli anni cinquanta, lei a detta di tutti era veramente bellissima, e se ne andava in giro per il paesello con questi vestiti americani stupendi e aveva tantissimi corteggiatori. Io, nel remoto caso in cui abbiate dei dubbi, assomiglio a mio padre. Poi però la vita del paesello la annoiava terribilmente e se ne andò a lavorare a Milano per qualche anno. A pensarci bene forse qualcosa da lei l'ho preso. Tornando a noi, ho chiesto a mia zia, e pare che la figlia del fratello americano sia ancora viva, e che abiti ancora a Philadelphia con la famiglia. Non le ho chiesto l'indirizzo, però ero curiosa di vedere la città, e di respirare la stessa aria. Come ho già detto è una città piena di carattere, e negli anni venti doveva essere al top del suo splendore. Ora però che è in una fase decadente, sono convinta che in romagna la qualità della vita sia migliore, e di molto anche. Ultimamente ho avuto spesso la sensazione di percepire l'esistenza di un equilibrio divino che tende a pareggiare i conti, che se prima ti dà poi si riprende, e viceversa. Questo mi rincuora. La mia vecchiaia sarà felicissima. Forse.