giovedì 30 dicembre 2010

Del lavoro natalizio e di Palazzo Pitti

Questi giorni di festa dopo la tempesta stanno volando via velocissimi. Le due settimane prima di natale, lavorativamente parlando invece sono state un discreto incubo. 
Il mio più grande errore di valutazione è stato pensare che occuparsi del customer care di un'azienda che vende biglietti di spettacoli su internet, fosse la stessa cosa di occuparsi del customer care di un'azienda che vende abbigliamento su internet. Nel primo caso, si assiste il cliente fino all'acquisto, e con la mail di conferma d'ordine con cui gli si inviano i biglietti è tutto finito. Nel secondo caso bisogna fare i conti con le spedizioni e quindi con gli eventuali ritardi dei corrieri, con le taglie dell'abbigliamento che non sempre vanno bene, con gli eventuali prodotti fallati, con i clienti che cambiano idea, e che quando si tratta di avere dei soldi indietro diventano improvvisamente maleducati. Senza contare che se un cliente decide di rendere c'è di nuovo da fornire l'assistenza alle spedizioni di reso, e poi la successiva restituzione del denaro che hanno speso. 
Durante le due settimane che precedono il natale tutti questi ordinari problemi che già erano il doppio del lavoro dei biglietti, vanno moltiplicati un'altra volta per due. Perciò se X è il carico di lavoro che nel 2009 contribuì a farmi  esplodere e poi volare 8 mesi in america per riprendermi, provate ad immaginare cosa possa essere per me X moltiplicato 4.
Se non fosse che vivo in una casa meravigliosa e sto con un sant'uomo il cui sport preferito è rimettermi al mondo, a questo giro un paio di annetti in Australia non me li levava nessuno. 
E poi c'è Firenze che sto imparando a conoscere piano piano. A volte passeggio per la città e scopro angoli nuovi e mi si riempie il cuore. Ne vale davvero la pena vivere qui, questo posto lo sento veramente casa.
L'altra sera ho approfittato di una iniziativa del ministero dei beni culturali, che apriva gratis i musei della città per quattro ore. "Andiamo a vedere il David all'accademia!", ci siamo detti. Ma poi la fila chilometrica ci ha fatto desistere. Poi tanto per scrupolo siamo passati davanti agli Uffizi, e la fila era ancora più lunga. Stavamo quasi per rinunciare, però poi abbiamo deciso di passare a vedere com'era la situazione a Palazzo Pitti, e sorpresa, non c'era già più fila.
Palazzo Pitti è un palazzo costruito con pietre così grosse che se nel 2012 verrà veramente l'apocalisse quello sarà uno dei pochi edifici al mondo che rimarrà in piedi. Si tratta di una reggia bellissima, che è stata anche residenza della famiglia Medici. Ovviamente da buona ignorantona non avevo la minima idea di quanto valesse la pena una visita, e da buona tirchiona non avevo mai speso i soldi del biglietto d'ingresso. Ben vengano queste iniziative ordunque! Dopo due ore passate fra dipinti meravigliosi, lampadari immensi, carta da parati da sogno, mobilia sfarzosa, affreschi da capogiro, si esce di lì veramente sazi di arte e di storia. Quando ero stata di fretta a Firenze da turista andai solo agli Uffizi, a santa maria novella e al duomo e feci molto male. Presto ritenterò comunque la visita all'accademia, anche se ci sono passata oggi e c'era ancora la stessa fila...

mercoledì 1 dicembre 2010

La grande G

Ogni giorno, quando vado al lavoro, passo davanti all'azienda della grande G. Praticamente si tratta di uno dei tre marchi più influenti nella moda al mondo, quasi un'entità astratta, che a volte ti chiedi se esiste veramente un posto fisico da dove escono tutte quelle belle borse. Qualsiasi fashion blogger sarebbe disposto a sacrificare la propria madre per lavorare dentro a quel grande edificio tirato a lucido. I loro dipendenti, appena entri nella tramvia li riconosci perché sono ricoperti dalla testa ai piedi del loro marchio. Praticamente ti vedi queste ragazze in tacco dodici, che sfoggiano scarpe, borse, portachiavi, foulard e qualcuna anche l'elastico per capelli. Uno dei miei colleghi un giorno ha chiesto ad una di loro se la roba gliela regalano, e la risposta è stata "no, però ci è stato caldamente imposto di vestire così". Che dire, avranno sicuramente degli ottimi stipendi, ho pensato sul momento. Poi qualche tempo fa, sbirciando le offerte di lavoro online ho visto un annuncio le cui caratteristiche gridavano "cerchiamo una persona per il customer care dell'azienda della grande G", anche se non c'era scritto da nessuna parte ed era stato pubblicato da un'agenzia di selezione del personale. Visto lo stipendio promesso, ho pensato che valeva la pena di tentare anche solo per farsi un giro dentro quel maestoso palazzo. Ho inviato il curriculum e sono stata subito chiamata per il colloquio in agenzia. La neolaureata che faceva le selezioni me la sono sciroppata come niente, e due giorni dopo mi ha richiamato per dirmi che avevo ottenuto un colloquio per l'indomani alla sede della grande G. A quel punto ci sono stati cinque minuti di panico, perché non essendo una fashion victim, avevo paura che se mi presentavo come mi vesto di solito non mi facessero nemmeno entrare. Appena uscita dal lavoro infatti mi sono fiondata a fare spese, che tanto ne avevo bisogno comunque. Non è scritto da nessuna parte, ma è risaputo che quando si va a fare un colloquio alla sede di un'azienda del genere il tailleur è d'obbligo. Siccome io invece sono fatta a modo mio e un tailleur non me lo voglio mettere neanche per scherzo, ho ben pensato che non ci vorrei mai lavorare per un'azienda che impone canoni di abbigliamento così rigidi ai propri dipendenti. Quindi, per andare a fare il mio tour curiosone dell'interno azienda della grande G, ho optato per la giacca del tailleur sopra a un paio di jeans stilosi, perché secondo me le persone senza giacca lì vengono uccise da un cecchino sul vialetto di ingresso. Non mi sono sbagliata di molto. Appena varcato il cancello una guardia giurata con la pistola bene in vista mi ha chiesto i documenti e mi ha rilasciato il pass, poi mi ha indicato l'entrata per la prima reception. Una volta dentro ho realizzato quanto fosse tutto perfetto. Soffitti altissimi, piante enormi, e receptionist in tailleur nero. La signorina mi vede a mezzo busto ed è gentilissima, poi aggira il bancone per indirizzarmi alla seconda reception e guarda sdegnata i miei jeans mentre mi dice di andare in fondo al corridoio e poi girare a sinistra e poi a destra. Alla fine del labirinto sono arrivata nel palazzo attiguo, bianchissimo, dove c'era una seconda reception. Era tutto talmente immacolato che sembrava di essere sulla luna. Si accomodi sul divano bianco, la responsabile e-commerce sarà subito da lei. Venti minuti dopo ero ancora su quel divano, quando è arrivata un'altra candidata al posto, in rigoroso tailleur nero, e si è seduta nel divano di fronte al mio. Dopo altri venti minuti di sguardi di sfida tra me e l'altra pretendente sono stata chiamata al piano superiore. La signora responsabile vestiva un tubino smanicato corto e l'immancabile tacco dodici. Come si dice, mettersi comodi per andare in ufficio. Mi ha dato la mano e mi ha squadrato da capo a piedi, poi parlando e vedendo che ero una persona competente, si è profusa in chiacchiere da addetti ai lavori. Alla fine mi ha detto che la mia specifica esperienza nel settore abbigliamento era ancora troppo breve e perciò non mi avrebbe assunto subito, che però mi avrebbe tenuto sicuramente presente per il futuro. Sono uscita da lì quaranta minuti dopo e l'altra poveretta ormai era diventata un soprammobile perfetto. Spero che le abbiano dato il lavoro, anche se dubito perché uscendo ho intravisto un logo enorme di un'azienda concorrente sulla sua borsa.