martedì 25 maggio 2010

Piaceri ritrovati.

Lo ammetto, durante la durata di tutta la mia permanenza a Boston ho letto soltanto tre libri. Purtroppo volevo concentrarmi solo sull'inglese e anche per una questione di peso in valigia non mi sono portata nessun libro italiano. I tre libri erano in inglese, e ci ho messo tanto perché dopo 15-20 pagine in lingua straniera il mio cervello si stanca, e leggendo prima di andare a dormire mi addormentavo sempre. A mia difesa posso dire che però ho letto i testi scolastici e il librone mattone di preparazione al toefl dovrebbe compensare tutto il resto. Adesso che sono tornata però non ho scuse, e quando ho sfilato il primo libro dalla mia piccola biblioteca personale mi sono quasi emozionata. Voglio raccontarvi la storia di questo libro, che inizia con la storia di un altro libro.
Circa un anno e mezzo fa, facendo spesa all'ipercoop ho visto gli einaudi scontati del 30%, e siccome questo capita raramente, ho deciso di dare un'occhiata. Trovare all'ipercoop libri che contribuiscano a dare un senso alla tua vita è quasi impossibile, però quella volta fui fortunata. Mi portai a casa le Memorie di Adriano della Yourcenar. Quel libro mi appassionò tantissimo, in particolare per come ragionavano gli antichi romani in materia di vita e morte, prima della comparsa della chiesa su questa terra. Unico difetto: anche se il libro era un diario dell'imperatore Adriano, era stato scritto da una signora che aveva passato molto tempo in biblioteca a leggere cose su di lui intorno al 1950.
Lo scorso dicembre, mentre ero a casa per le ferie natalizie, sono passata dal mercatino di beneficenza del paese. In quel mercatino ci faccio la spesa libri tutti gli anni, tipo che quest'anno me ne sono portati a casa dieci per dieci euro o poco più. Una volta i libri usati non mi piacevano perché sono rovinati, ma ora ho imparato a scegliere quelli con la copertina rigida, che durano nel tempo più di un libro nuovo in edizione tascabile. Fra questi c'era un libro intitolato Ricordi, di Marco Aurelio, e lo comprai solo per l'assonanza con le memorie di Adriano. Ho iniziato a leggerlo la settimana scorsa, e ho realizzato che è proprio a questo libro che la Yourcenar si ispirò. Questo è un vero diario scritto di pugno personale, e ad ogni pagina mi stupisce. Se penso alla vuotezza di certi romanzi moderni, mi chiedo come si possano spendere anche venti euro (quarantamilalire signoramia), quando con un paio di euro ti puoi portare a casa una cosa simile. L'altro giorno sono stata a Bologna dopo un sacco di tempo e ho visto che al posto di Nannucci ci hanno messo l'outlet di mel bookstore, che ha un settore enorme rifornitissimo di libri usati a due euro. Anche lì ho fatto la spesa. "Carissima" feltrinelli, è stato bello, ma addio.

martedì 18 maggio 2010

Reincontri e riscontri

Prima che tutte le settecento persone che hanno cliccato su quel link inizino a chiedermi "allora hai novità per quel lavoro"? Vi dico subito che per avere una risposta dovrò aspettare la metà di giugno, e quindi mettiamoci il cuore in pace e non pensiamoci (quasi) più fino al giorno x. Nel frattempo la vita scorre veloce: sto rivedendo tutti gli amici che non vedevo da mesi, ho presenziato a un paio di concerti carini, ho ricostituito la italian society in patria, e sto dando una mano a @padre nell'attività di famiglia. @padre vorrebbe assumermi, ma il lavoro è fisicamente faticoso e io avrei altri piani. Intanto che aspetto una risposta da Firenze continuo a guardarmi intorno, che non si sa mai. Qualcuno mi ha suggerito di iniziare a scrivere le divergenze toscana/romagna e trovo che sia un'idea carina. Solo per le divergenze linguistiche non basterebbe un libro. Quando passa aria da una finestra e una porta sbatte, loro dicono che fa riscontro. Noi diciamo che c'è una corrente d'aria. Ovviamente il vocabolario dà ragione a loro che l'italiano l'hanno inventato, ma "riscontro" mi suona comunque come unghie sulla lavagna. Altre parole che mi vengono in mente sono cancellare/scancellare, spegnere/spengere, che ovviamente sono tutte corrette. Cancellare secondo loro è terrificante perché gli dà l'idea di mettere un cancello, ma dovrebbero sentirsi quando dicono robe tipo spengi la luce!



venerdì 14 maggio 2010

Esperimento di viral marketing

Il colloquio direi che è andato bene. Si tratta di un lavoro di comunicazione web 2.0, e la responsabile marketing ha apprezzato il mio approccio via e-mail. A proposito di "pretentious" nell'oggetto avevo scritto "sono la persona che stai cercando" e ho iniziato la lettera con un "ciao". Lei mi ha detto che trattandosi di comunicazione internet chi inizia con "Gentile dottoressa" sbaglia tutto in partenza. Questo discorso mi piace perché ha ragione, e perché pur avendo rischiato mi è andata bene. Non si sa mai, volendo potevo anche vedermi rispondere "oh non sono mica tua sorella che mi dai tutta questa confidenza". Il lavoro mi ispira perché è veramente challenging, si tratta di tirare su da zero un sito molto ambizioso, e se chi si occupa della promozione 2.0 ha successo mantiene il posto, altrimenti la società chiuderà queste posizioni. La sede è vicino a Firenze, una città che mi è sempre piaciuta e dove mi sposterei molto volentieri. L'unico momento "unghie sulla lavagna" è stato quando mi ha nominato il contratto a progetto. Dopo undici anni a tempo indeterminato mi è sembrato di subire una retrocessione in serie B, ma poi ci ho riflettuto. La mia paura più grande riguardava il ricongiungimento dei contributi inps per la pensione, perché qualche anno fa non era possibile. Ora visto che siamo tutti sulla stessa barca hanno fatto una legge per cui se uno matura almeno tre anni a progetto poi può ricongiungere il tutto ai contributi inps normali. Per il resto, se il contratto a progetto è veramente un progetto e non ti costringe a timbrare un cartellino giornaliero, non è male per niente. Nel mio ultimo periodo lavorativo avevo ottenuto un contratto di telelavoro flessibile, e se un pomeriggio c'era il sole e volevo uscire a fare una passeggiata, poi recuperavo il lavoro di sera e nei fine settimana. Poi come tutti sapete c'è stata la pausa americana. Dopo tutto ciò tornare a timbrare un cartellino, mi diventerebbe difficile. Se il datore di lavoro capisce che il web è aperto 24 ore su 24, non è più importante il quando e il dove si lavora, ma il come si lavora. Ovviamente se si lavora in team specialmente all'inizio bisognerà essere in ufficio, ma poi mi piace l'idea dell'autogestione, che è comunque controllabile. Se non fai nulla le visite non arrivano e ciao lavoro. Ora, il mio unico problema è che essendo un lavoro fico, a quella azienda stanno arrivando un mare di curriculum diversi e i posti disponibili sono soltanto due. Per una volta, o miei lettori, dopo avervi dato tanto in termini di condivisione delle mie esperienze, sono a chiedervi un piccolo aiuto che non vi costa niente. Anzi vi conviene, perché se vado a Firenze il mio blog continuerà ad essere interessante, e se rimango al paesello presto non avrò più niente da dire.
Praticamente, io vorrei dimostrare alla responsabile marketing che sono effettivamente in grado di muovere traffico web, perché conosco tante persone su internet. Quindi se tu vuoi aiutarmi, ora clicca qui sull'indirizzo del suo blog personale, in modo che lei possa vedere un'impennata nelle sue statistiche e rendersi conto che se vuole lanciare bene quel sito deve avere ME.
Cosa aspetti? Sdebitati!! Ti costa solo un click.
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mercoledì 12 maggio 2010

Don't you think that it sounds a little bit pretentious?

Giovedì potrò rendermi conto se gli Stati Uniti mi hanno insegnato davvero qualcosa di buono. Il primo fondamento della filosofia americana è che i soldi spesi nell'istruzione tornano sempre indietro. Io ho investito su me stessa, perché mi sono ritenuta più affidabile di certe azioni che la banca voleva propinarmi. Giovedì, dicevo, ho un colloquio che potrebbe cambiarmi la vita, e sono curiosa di vedere come va (again? non sei ancora stufa di reinventarti? no). Nelle scuole americane, comprese quelle di lingua, ti insegnano a saperti vendere, altrimenti in quella società di squali navigati non ne esci vivo. Ralph, l'insegnante, non si limitava a correggere gli errori grammaticali, ma ci insegnava a scrivere e parlare come gli americani. Le speaking presentation erano l'incubo della classe. Una volta a settimana bisognava parlare per cinque minuti in piedi davanti a tutti, mentre lui inflessibile con la sua penna dava il voto all'inglese e all'atteggiamento. Dovete essere convincenti, diceva. Le mie prime dieci presentazioni sono state un mezzo disastro, poi man mano che ho preso confidenza ho sfoderato un po' della nostra caratteristica teatralità italiana e sono migliorata. Se nei temi leggeva un "secondo me" lo sottolineava in rosso e ci scriveva che indeboliva quanto sostenuto. Un giorno gli ho chiesto se questo modo di scrivere non risultasse pretenzioso e lui mi ha risposto "bullshit". La sua ricetta era: dite al vostro audience cosa state per dire, diteglielo, ribaditegli quanto detto. Con-vin-ce-te-li. Lavorativamente parlando, io ho sempre definito tutto questo contorno "aria fritta" e ho sempre preferito concentrarmi sulla sola qualità del lavoro svolto. Però se guardo chi nella vita ha combinato davvero qualcosa senza accontentarsi del primo lavoretto trovato, tutto questo mi risulta vero.

Esercizio di training autogeno: ripetere venti volte "tomorrow my performance will be outstanding". Alternare con "la parola scaramanzia in inglese è intraducibile perché quando vuoi veramente qualcosa, ci riesci".

lunedì 10 maggio 2010

Wonder woman

Ho salutato Boston nel peggiore dei modi possibili. O forse nel migliore, dipende dai punti di vista.
Mi ero preparata a versare litri di lacrime per la chiusura di un capitolo enorme. Avevo paura di commuovermi troppo in occasione della festa di saluto organizzata in mio onore dal coinquiliname e dintorni, fissata al ristorante russo per domenica sera. Poi è successo l'imprevedibile.
Andiamo con ordine.
Venerdì pomeriggio, dopo essere tornata dall'ultima escursione alla lavanderia a gettoni, ho provato a fare la valigia per vedere se mi avanzava un po' di posto per un eventuale shopping sabato pomeriggio. Ovviamente era piena all'inverosimile, ma ho pensato che se buttavo via qualche vecchia maglia che mi prestava servizio da più di un quinquennio, avrei anche potuto fare un salto da Macy's per investire gli ultimi dollari rimasti. Venerdì sera sono andata a dormire e ho lasciato lì la valigia fatta, senza pensarci più. Sabato mattina mi sono svegliata alle cinque a causa del diluvio universale in corso. Ho provato a riaddormentarmi ma il rumore della pioggia era troppo forte. Ho acceso il pc. Ho aperto la pagina di Repubblica.it che mi ha annunciato la cancellazione di 5000 voli in spagna e francia, a causa della nube vulcanica. Per fortuna l'Italia è lontana da lì, ho pensato. Poi mi è venuto in mente che su facebook qualcuno aveva linkato il sito delle previsioni dei movimenti della cenere vulcanica, e ci ho dato un'occhiata per curiosità. Lì ho visto che nel giro di dodici ore i cieli italiani sarebbero stati ricoperti interamente dalla nube, e mi è preso un po' di panico. Chi è l'ultima persona che devo chiamare in caso di panico? Mio padre. [file under: la mia unica figliooooola]
"Ciao, buongiorno, senti stavo guardando qui che forse la nube del vulcano arriverà a breve in Italia e quindi il mio volo potrebbe essere rimandato a chissà quando."
"Ehhh? Sei pazza? Cosa fai ancora lì?"
"Eh ti ho chiamato perché non so che fare. La mia stanza sarà affittata dal giorno dopo e nel caso in cui mi rimandino il volo sarei pure senza un tetto."
"Sposta subito il volo a oggi"
"Ma..."
"Niente ma!"
"Ok."
Alle otto di sabato mattina ho chiamato la compagnia aerea, ho spostato tutto, sono corsa in banca a chiudere il conto (e per fortuna che là sono aperte anche di sabato), ho messo le ultime cose in valigia, ho svegliato Liza che dormiva, ho pranzato con lei alle undici e poi sono corsa in aeroporto. Mentre sono uscita fuori con la mia valigiona che pesava 22 kg e uno zaino da 12 kg era ancora in corso il diluvio universale di cui sopra. In quel momento avevo in testa solo la parola CASA circondata da lampadine fosforescenti, e non sono riuscita a realizzare che dopo 7 mesi stavo lasciando Boston. Sono salita sulla metropolitana bagnata come un pulcino, ho maledetto la stazione di cambio che era senza ascensore, ho imprecato contro gli enormi gradini del bus navetta e sono entrata nell'atrio dell'aeroporto. Ho guardato il tabellone, e ho visto voli provenienti dall'europa cancellati ed altri con anche cinque ore di ritardo. Grazie a twitter sapevo che i voli tardavano perché dovevano passare da sotto il portogallo per evitare la nube. Fortunatamente il mio volo veniva da Roma, e aveva molto meno ritardo degli altri perché la deviazione era minore. Appena fatto il check in ho deciso di rilassarmi accendendo il pc, e ho letto che Repubblica continuava con i suoi catastrofismi. Domattina alle sei nube sull'Italia, riunione di emergenza della protezione civile in corso, titolava a caratteri cubitali. Il mio volo doveva atterrare alle otto, sta a vedere che me lo annullano all'ultimo momento, ho pensato. E invece no, tutto è andato assolutamente liscio come l'olio.
Il volo era diretto a fiumicino e sono atterrata alle 8.30 di ieri mattina, con soli quaranta minuti di ritardo per via della deviazione. L'aereoporto era nel caos totale, perché durante la mattinata, tutti gli aeroporti del nord erano stati chiusi, e quindi tutti i passeggeri con coincidenze sono stati dirottati alla stazione termini. Una volta salita sul trenino di collegamento ho realizzato che era stracolmo di gente con bagagli con l'etichetta transfer. Ho pensato che se non volevo restare bloccata ore a Roma, sarebbe stato meglio correre verso la biglietteria a tutta velocità, con tutti i miei 34 kg di bagaglio. L'abbiamo pensato tutti. La fila alla biglietteria era infinita. Non mi sono arresa e ho cercato le macchinette più nascoste. Avevano tutte la fila, solo una era libera perché accettava solo carte di credito. Ho provato con l'eurostar che partiva dopo 40 minuti perché non volevo fare le corse, e mi dava posti esauriti. Ho provato con l'eurostar che partiva dopo 10 minuti , e mi dava cinque posti liberi rimasti, di cui tre in prima classe. Ho preso il penultimo biglietto di seconda classe. Ero davanti al binario 23, il treno partiva al binario due e mi era stato assegnato il posto in una delle ultime carrozze in fondo. Un'altra corsa. Dopo due ore sono arrivata a Firenze, e sono scesa per prendere il trenino regionale che attraversa le montagne e mi porta dritto a casa a Faenza senza cambiare. Quando quel treno è partito mi sono finalmente rilassata. Mentre le colline verdi ricoperte di viti e ulivi scorrevano dal finestrino, ho pensato che 24 ore prima ero a Boston e che l'ho lasciata per sempre. Ho riguardato fuori e non sono riuscita ad essere triste.


giovedì 6 maggio 2010

Back in Boston

Appena tornata a Boston Liza allarmatissima mi ha spiegato nei dettagli l'emergenza acqua in corso. Mentre noi ce ne stavamo beati a Los Angeles, dai rubinetti bostoniani usciva l'acqua del lago non depurata. Ho aperto il frigorifero e ho visto che Liza aveva comprato 8 galloni di acqua. Per la cronaca un gallone è circa 3,7 litri. Questi americani sono bravissimi nell'impanicare la gente. Hanno detto alla tv "si spera che non si tratti di settimane ma solo di giorni" e tutti si sono fiondati al supermercato a svaligiare i liquidi. Ok, capisco l'acqua perché ce n'è bisogno oltre che per bere anche per lavare i piatti e per lavarsi, ma perché fare fuori anche tutte le bibite gassate come la dottor pepper? Mica è scoppiato il rubinetto della fabbrica. Ovviamente l'allarme è rientrato la sera stessa del mio ritorno e tutta questa gente ora non sa che farsene di questo liquido strano. Ho visto status su facebook che dicono:
"e ora cosa farò con tutta quest'acqua?"
"bevila"
"mi fa schifo, preferisco la coca cola"
"e allora perché l'hai comprata?"
"colpa della tv"
Chissà, magari tutto ciò farà scoprire l'acqua a questi bollicine addicted e non tutto il male sarà venuto per nuocere. Anyway, è iniziato il mio conto alla rovescia, il ritorno è sempre più vicino. Ieri sono andata in aeroporto per un arrivederci, e al mio ritorno a casa ho ripensato al giorno in cui sono arrivata sola e spaventata in questa città. Non avevo ancora un blog e non ve ne ho mai parlato. Avevo una valigia da 20 kg, uno zaino da 10 kg, la borsa del pc e la borsetta. Ero stanchissima dal volo, e chiedevo aiuto a chiunque per gli inaffrontabili scalini dell'autobus e della metropolitana. Sull'autobus ho chiesto a una coppia se conoscevano la zona del mio ostello e se era pericolosa. Mi hanno sorriso e mi hanno detto che potevo stare tranquilla, che tutta Boston è very safe. Mentre stavo salendo sulla metro sbagliata sono venuti a dirmelo e ad indicarmi quella giusta. Poi sono crollata a dormire in ostello e mi sono svegliata la mattina dopo con un sole bellissimo e la prima cosa che ho visitato è stata Newbury Street. Durante quella passeggiata fino al parco ho percepito distintamente l'inizio del mio percorso di rinascita. Adesso invece è giunta la fine, sto per tornare a casa carica e felice [shhht]. Mentre tornavo dall'aeroporto ieri le mie sensazioni erano diverse. I luoghi sono ora familiari e mi danno sicurezza. Questo posto posso veramente chiamarlo casa. Gli ultimi due mesi sono stati qualcosa di talmente bello e intenso da non essere mai riuscita a trovare le parole giuste per rendere l'idea. Le parole non sempre sono indispensabili. Ora ho quattro giorni per ripensare a tutti questi viaggi nel viaggio, alla fine della solitudine, ai sorrisi, alle città nuove, alla gente, alle milletrecento foto in sei mesi. Grazie Boston, di cuore.

domenica 2 maggio 2010

Los Angeles

Jenny, la ragazza che ci ospita a casa sua, è venuta a prenderci alla stazione degli autobus con la sua fidata Mustang nera. Lei abita sulle colline sopra a Malibù ed è gentilissima. Tutti coloro che ci sono stati mi hanno detto che visitare Los Angeles da turisti normali è piuttosto noioso e inutile perché i trasporti pubblici non sono sufficienti a coprire una area così vasta, ed avere un auto e conoscere i posti è assolutamente indispensabile. Jenny ci ha portato ovunque, e tutto intorno è un riconoscere luoghi visti nei film come Beverly Hills, Melrose e Mulholland drive. Siamo stati a Malibù sulla spiaggia dei surfisti, a Venice beach dove hanno tentato di ricreare i canali veneziani, a Santa Monica dove c'è la spiaggia di Baywatch e a Hollywood lungo la hall of fame. Nel frattempo dal resto dell'america giungono notizie poco confortanti. A New York hanno tentato di far esplodere una bomba a Times Square di sabato sera, a New Orleans sta arrivando una chiazza di petrolio enorme e a Boston è scoppiata la conduttura generale dell'acqua costringendo due milioni di persone a comprare le bottiglie per bere. Domani sera ci ritorno e spero che siano riusciti a riparare il tutto in qualche modo. Questi ultimi scampoli di america stanno passando in frettissima e mi sto divertendo tanto, ma non vedo l'ora di tornare.