domenica 28 febbraio 2010

Philadelphia

Sono seduta nel bus sulla via del ritorno, e sono così contenta di avere fatto questo viaggio che voglio scriverne subito. All'andata, dovevo aspettare un'ora a New York per il secondo bus, e visto che Times Square è a due passi dalla stazione, sono uscita a fare un giro. E' ancora più caotica di quanto me la ricordassi. Per una vacanza è il top, ma resta decisamente invivibile. Dovendo scegliere, Boston tutta la vita. Nella seconda parte di viaggio ho studiato un po' la piantina di Philadelphia. La stazione degli autobus è vicino a Chinatown. L'ostello è dalla parte opposta del centro. Ho deciso che all'andata avrei camminato visitando le zone a nord di Market Street, e il giorno dopo al ritorno, le zone a sud. C'era poco tempo e bisognava ottimizzare. Comunque più che in una Chinatown sembrava di essere ad Harlem. Per i primi cinque minuti camminavo quasi trattenendo il respiro, pensando ai filmati di youtube che ho postato qualche giorno fa. Poi sono arrivata nella zona della old city, dove ora ci sono tutte le botteghe degli artisti. Che meraviglia. Questa città mi si è immediatamente rivelata in tutto il suo carattere e splendore. Philadelphia era la capitale originaria degli Stati Uniti, fino a quando non si sono alzati una mattina e hanno deciso di costruire un salotto asettico a Washington. Qui il quattro luglio 1776 è stata firmata la dichiarazione di indipendenza. Nella casa della sarta Betsy Ross è stata cucita la prima bandiera a stelle e strisce. L'ostello, l'unico della città, per la serie o mangi dalla minestra o salti dalla finestra, era in fondo a un vicolo che sembrava poco raccomandabile. Nella porta di fronte c'era un losco night club. Fortunatamente dentro era pulitissimo e ristrutturato da poco. Ho lasciato le mie cose e ho fatto un salto al supermercato più vicino. Erano circa le cinque e mezza, e mentre ero dentro, ha iniziato a fare buio. La città eclettica si è eclissata nel giro di cinque minuti, e per le strade non c'era quasi più nessuno. Sono tornata in ostello, e in camera c'erano due ragazze tedesche. Una era stanca e non voleva andare a ballare. L'altra voleva uscire a tutti i costi, e quindi ha deciso di andare da sola. Bionda, capelli lunghi, ventenne, minigonna e tacchi. E' tornata viva. Sono io che sono una fifona del cavolo, che sono pure andata a letto presto. Questa mattina mi sono alzata alle otto, e dopo una energica colazione, ho iniziato la mia scarpinata-tour fotografico, che circa 6 km dopo mi ha portato fino in cima alla scalinata del museo di arte, famosa per essere la scalinata del film di Rocky. Accanto ad essa c'è pure la statua che ritrae l'attore in posa con le braccia alzate e i guantoni nelle mani. Non avete idea di quanti pazzi ci sono che si fanno tutta la scalinata di corsa per alzare le mani in cima. Uno si è fatto fare pure il video mentre correva e cantava la musichetta tananààà nànànààà. Tenete conto che il museo è in fondo a una via lunghissima, copiata dagli Champ Elysées, e che non si arriva alla fine esattamente freschi come una rosa. Dentro al museo c'era la mostra di Picasso, ma quando ho appurato che l'ingresso costava ben venti dollari, ho pensato che io Sticasso l'ho già visto approfonditamente a Madrid e che quindi potevo anche farne a meno.

venerdì 26 febbraio 2010

Preferisco Radio Gaga a Lady Gaga.

Alina, la mia insegnante, come vi dicevo è ormai al termine della sua gravidanza, e anche se si vede che non ne può più, continua a venire a scuola, per stare a casa più giorni quando il bambino sarà nato.
Alina è nata e vissuta a Londra, da madre inglese e padre musulmano. Viste le radici del padre, magari ci si può aspettare qualche chiusura mentale, però essendo londinese dovrebbe essere abituata a vederne di tutti i colori. E invece no. Eppure diceva che andava a ballare tutti i sabati sera con le amiche fino alle quattro di notte. Forse aveva i prosciutti sugli occhi, forse.
Tutto questo preambolo è dovuto a un dialogo che si è svolto ieri in classe.
A: ragazzi, mentre fate il test di prova del Toefl, vi dispiace se apro youtube e metto su un po' di musica?
classe: no, anzi, meglio.
A: adesso metto su qualcosa dei miei tempi.
Parte Bohemian Rapsody dei Queen e sono l'unica che sorride riconoscendola perché i presenti in classe sono tutti piuttosto giovincelli.
Alina balla sulla sedia scuotendo il pancione a destra e sinistra, povero bambino.
Poi la canzone finisce.
alunno: come si chiama il gruppo?
Alina: Queen
alunno: mai sentiti, però lui ha una bella voce.
Alina: sì. Freddie era bravo, ma purtroppo era gay. Infatti è morto di aids. Io proprio non riesco a capirli i gay, perché siano così.
Seguono una fila di risatine e sgomitate fra i ragazzi sudamericani. Le kazake musulmane sono come scandalizzate. Io pure ma per ragioni opposte.
Alina: ma voi avete mai visto un gay? Voglio dire, certo che l'avrete visto in giro, ma da vicino? Conoscete qualche gay?
kay: i miei due coinquilini, un ragazzo e una ragazza, sono entrambi gay e sono persone meravigliose (quando si ricordano di lavare i loro piatti).
TUTTI si girano verso di me e mi guardano come se mi fossero spuntate le antenne verdi in quel preciso momento. Alina imbarazzatissima cambia discorso ed introduce il nuovo argomento della lezione.
Magari la prossima volta che decido di catapultarmi in un erasmus fai-da-te vado in Arabia Saudita, che almeno lì la chiusura mentale te la aspetti.

giovedì 25 febbraio 2010

Per me era sua sorella.

Se annunciano la tempesta di neve e si alza la temperatura di due gradi, finisce che al mattino esco di casa con l'acquazzone in corso, e non mi posso nemmeno lamentare. Arrivo alla fermata della metropolitana, dove inizia la lotta con i miei simili per guadagnare un centimetro sotto la microscopica tettoia. Quando finalmente riesco ad insinuarmici interamente, din din din arriva il treno. Fra parentesi io devo ancora capire perché la linea verde fa din din din quando arriva, e la rossa, la blu e l'arancione non lo fanno. Purtroppo la pioggia spaventa i Bostoniani, tutti loro preferiscono la neve perché bagna meno, e quando piove affollano la metro. I quattro vagoni sono murati. Metto a frutto la mia esperienza da pendolare bolognese e con due spallate arrivo prima davanti alla porta. Dentro al treno, davanti all'uscita c'è una coreana alta un metro e venti con gli occhiali stile Arisa. (Dice: e tu che ne sai che era coreana? Perché non giapponese o cinese? Se vi ricordate di Jin su questo blog, lo capirete fra poche righe). Appena si apre la porta, quella punta l'ombrello bagnato dritto verso la mia faccia e lo apre, schizzandomi all'inverosimile e rischiando di cavarmi un occhio. Evabbè, uno pensa, deve scendere e non si vuole bagnare. E invece no, fa un passo fuori, lascia scendere tre persone e risale. Quando vado per salire dietro di lei, mi ripunta l'ombrello per chiuderlo. Mentre mi sposto, altre tre persone mi si infilano da tutte le parti e salgono riempiendo il poco spazio vuoto lasciato da quelli che sono scesi, ed io non ci riesco perché è troppo pieno. Le porte si richiudono e mi scappa un improperio indirizzato alla tizia, che mentre il treno riparte mi fa pure la linguaccia. Il tutto è durato un minuto, ma sono bagnata fradicia da capo a piedi, e devo pure aspettare il treno successivo. Mi giro verso la tettoia e mi hanno rubato il posto. Quando mi ci metto Fantozzi mi fa un baffo.

martedì 23 febbraio 2010

Ognuno ha la sua gomorra.

Ho deciso la mia data di ritorno, che sarà circa fra due mesi e mezzo (salvo imprevisti, ovviamente). La mia permanenza totale negli Usa, sarà quindi di sette mesi e mezzo. Praticamente il processo di miglioramento del mio inglese durerà quanto la gestazione di un parto. Non mi dispiace tornare, sono contentissima di avere fatto questa esperienza ma la mia romagna mi manca tanto. Anche se probabilmente non vedo l'ora di tornare per il gusto di poter fuggire di nuovo. In particolare ho questa fissa della transiberiana che devo togliermela dalla testa prima che altri pazzi come me manifestino la loro disponibilità ad intraprendere l'avventura, altrimenti poi per coerenza quelle tre settimane di treno in mezzo al niente me le devo fare per davvero e non lo so mica se sono pronta. Magari nel 2011. Sento la necessità di controbilanciare il capitalismo americano con un po' di sana Russia. Ma torniamo al mio periodo residuo negli Stati Uniti. Voglio visitare il visitabile, per essere sicura di non doverci tornare più. Purtroppo le finanze residue scarseggiano e quindi dovrò applicarmi più del solito per quanto riguarda la ricerca dei viaggi low cost online. Questo fine settimana vado a Philadelphia. Bus, ostello e panini per poco meno di cento dollari totali. La mia guida dice che il centro città e la città vecchia sono meravigliose, che è uno dei pochi posti trasudanti storia, negli Stati Uniti. Non dice niente sul crimine, eppure dovrebbe, perché ci sono delle zone pericolosissime. La mia insegnante mi ha detto che se vado e sto in centro posso stare tranquillissima, ma ad esempio la zona a Nord è da evitare perché al confronto il Bronx è il paese delle meraviglie di Alice. Dicono che in media c'è un morto ammazzato al giorno, da quelle parti. Ci sono bande rivali che si fanno la guerra per la droga, e non guardano in faccia a nessuno. Ieri ho guardato su youtube un documentario della Bbc, sul crimine che c'è in questa città. Si vede un rigidissimo gentleman inglese, che per un certo periodo è andato in giro per North Philadelphia con i poliziotti, sulle loro auto. Poverino, si vede chiaramente che se la fa addosso, non si toglie mai il giubbotto antiproiettile. Però ha del coraggio perché intervista i ragazzi di strada con il suo humour in english style. Loro gli mostrano i segni dei proiettili sui loro corpi, e sono anche fortunati perché possono raccontarlo. Quasi tutti hanno perso un amico o un parente. Purtroppo c'è parecchio slang e non ci sono sottotitoli, però se provate a guardarlo è interessantissimo. Lo trovate qui, diviso in 6 parti: 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6. Io volevo vedere solo la prima, ma poi non sono riuscita a smettere: è tipo Gomorra, solo che questo non è un film. Nonostante tutto questo, ho ancora voglia di andarci. In quella zona però non ci metto piede.Giustifica

lunedì 22 febbraio 2010

Amo le gite fuori porta.

Domenica mattina. Dopo aver fatto colazione guardo le previsioni del tempo per la giornata in corso, e per il resto della settimana. Oggi e domani addirittura sei gradi, record stagionale. Tanto per non smentirsi, la neve tornerà da martedì a domenica. Sento un impulso che mi spinge ad uscire fuori per godermi questi ultimi scampoli di sole. Non mi va di rimanere a Boston, ieri sono tornata a piedi dal mercato, e ho camminato per ben 4 km attraversandola tutta. Beh che c'è di strano, voi preferite correre su un tapis rulant dentro quattro mura, e io invece preferisco camminare all'aria aperta. C'est la vie. Apro il sito internet con gli orari dei treni, leggo nomi di città che cerco sulla mia lonely planet, e alla fine decido di andare a Providence, che si trova ad una sola ora di distanza ed è visitabile in giornata. Providence è la capitale dello stato americano più piccolo, il Rhode Island. E' stata fondata da un prete fuggito da Boston perché cacciato dai puritani, e le ha dato il nome in onore alla divina provvidenza. Appena sono arrivata, una volta uscita dalla stazione, resto colpita dalla magnificenza della bianchissima state house. Peccato che sia l'unica cosa veramente degna di nota, oltre alla cheesecake factory, qualche metro più in là. Oggi il cielo è incredibilmente terso, di un blu che non ho mai visto prima nel New England, e spero che la primavera da queste parti possa stupirmi ancora. Se volete vederlo anche voi, ho messo le foto qui. Anche a Providence la zona centrale si chiama Downtown, ma i negozi sono chiusi e anche la via principale, Westminster Street, è praticamente deserta. La popolazione è divisa a metà fra la pista di pattinaggio sul ghiaccio e il grande centro commerciale. Sono rientrata a Boston verso le sei di sera. Era quasi buio, eppure uscendo dalla stazione di Back Bay in centro, ho visto che le strade erano ancora piene di persone che passeggiavano, e ho pensato che proprio non c'è paragone.

venerdì 19 febbraio 2010

My dear Joe

Questo post vuole essere un ringraziamento al signor Joe, ma anche una guida di sopravvivenza per chi vorrà trascorrere del tempo negli States. Parliamo di supermercati americani.
- Trader Joe's. E' il mio preferito, è la mia salvezza. Questo fantomatico signor Joe è un tizio che importa tonnellate del miglior cibo da tutto il mondo, per venderlo nei suoi negozi sparsi per gli Stati Uniti. Siccome ne importa veramente tonnellate riesce ad applicare ottimi prezzi, che in alcuni casi sono uguali al paese di origine. Purtroppo non è il supermercato più vicino a dove abito, ma una volta alla settimana mi organizzo e mi faccio trenta minuti di camminata con lo zaino vuoto all'andata, e altri trenta con lo zaino vuoto al ritorno. Ci sono stata poco meno di un'ora fa, ed ecco, con l'acquolina in bocca che mi ritrovo, io lo devo proprio ringraziare.
Grazie Joe per la birra belga.
Grazie Joe per il salame italiano.
Grazie Joe per gli gnocchi italiani (è da sei mesi che non li mangio!!)
Grazie Joe per il formaggio francese.
Roba che in vita mia non ho mai ringraziato così tanto nemmeno dio (sì lo so che si scriverebbe maiuscolo).
- The whole foods. E' famoso per avere i prodotti americani di migliore qualità, ma anche per essere il più costoso. Per questo la gente comune l'ha soprannominato "The whole paycheck" (l'intera busta paga). Siccome è un supermercato per ricchi, lo si trova solo nelle zone dove ci abita la gente con i soldi. Infatti per scoprire quali sono le zone più costose al metro quadro in una città, basta digitare whole foods su google maps.
- Stop & shop. Questo è conveniente per chi ha l'automobile. C'è un distributore accanto ad ogni supermercato e si possono utilizzare i punti della benzina per fare la spesa.
- Shaws. Questo è il supermercato del popolo, tipo la nostra coop. Con la differenza che la nostra coop vende solo cose commestibili. Qui ci ho trovato dei salumi di una fosforescenza tale che i chimici del cnr ci potrebbero aprire una sede distaccata per studiare nuove forme di vita.
Fortunatamente Boston ha anche un ottimo mercato delle verdure, Haymarket, che non mi stancherò mai di nominare su questa pagina. Per raggiungerlo devo farmi 40 minuti di metropolitana ma ne vale la pena. Con tre dollari torno a casa con tre borse piene di melanzane, zucchine e pomodori. Per lo meno questo viaggio mi sta servendo per imparare ad estrarre briciole di felicità dalle piccole cose.

giovedì 18 febbraio 2010

Occhi di ragazza.

Gina e Pina sono due ragazze dai tratti orientali che sono in classe con me fin dal primo giorno. Hanno diverse cose in comune, oltre alla nazione di provenienza c'è soprattutto l'età. Entrambe hanno studiato tanto, e hanno vinto una borsa di studio offerta dal loro governo per frequentare l'università negli Stati Uniti, e prima di essa questo corso di lingua per perfezionarsi. Sono state catapultate lontano dalla famiglia e dal loro paese a soli diciannove anni. A quell'età io di certo non sarei stata in grado di cavarmela da sola all'estero. Ma loro sono native digitali, sono cresciute con internet nel sangue, e hanno google maps per non perdersi e i social network per restare in contatto con gli amici. Viviamo in altri tempi signora mia. Eppure, io vi posso già dire che Gina nella vita farà strada perché ha già capito come si sta al mondo. Pina secondo me prima o poi si caccerà in qualche brutto guaio e verrà rimandata a casa senza passare dal via. Ora va tanto di moda parlare di reputazione digitale, e a noi che quando è uscito facebook avevamo già una testa sulle spalle ci sembra un concetto ovvio e scontato. Se invece provo a pensare a cosa avrei scritto sulla mia pagina online quando avevo sedici anni, rabbrividisco. Specialmente se penso che potrebbero essere consultabili anche vent'anni dopo da uno sconosciuto qualsiasi che deve farmi un colloquio di lavoro. Paura. Ma torniamo alle due signorine a cui piace tanto venire a scuola ogni settimana con un colore diverso di capelli, che varia dal blu all'arancione. Gina, ha una sola foto nel profilo di facebook, in cui ha la faccia pulita e il suo colore naturale. Negli status sta particolarmente attenta a non scrivere mai i fatti suoi. Pina invece è quella che molti chiamerebbero "bimbominkia". Cambia la foto più spesso del colore di capelli, e la scatta dall'alto, come piaceva tanto alle ragazze myspace. Negli status si diverte ad utilizzare le abbreviazioni degli sms, tipo 4evah e ogni volta che mi compaiono sulla mia home page mi si travasa la bile. Quando si è lasciata col ragazzetto di turno si è preoccupata di informare subito tutti definendolo fuckin' asshole. E pensare che io me la ricordo ancora come era il primo giorno: aveva gli occhi a mandorla, i capelli biondo scuro, un maglione enorme ed era struccata. Oggi di quella timida ragazza non c'è rimasto più niente, nemmeno gli occhi perché si è messa un paio di lenti a contatto che li fa rotondi. Due settimane fa ha pubblicato su facebook le foto di un party in cui i presenti (compresa lei) fumavano un cilum. A quel party era presente anche Gina, che invece di piazzarsi davanti alla macchina fotografica in tutte le foto, quando veniva inquadrata si copriva il viso con le mani. Ma queste sono ragazzate che abbiamo fatto tutti, e siamo solo fortunati se le foto delle nostre distruttive gite scolastiche non sono on-line. Però ieri Pina mi ha fatto preoccupare sul serio. Da qualche giorno in classe ha lo sguardo assente, perso nel vuoto. Ha scritto nello status di facebook che si sentiva un pochino depressa, che è andata da un medico a farsi visitare e lui le ha prescritto delle pillole buone che le fanno scomparire tutti i mali. Figurati, i medici americani non chiedono altro, vogliono solo di imbottire le persone e stordirle. Nella metropolitana è pieno di annunci tipo: ti senti solo? depresso? partecipa al nostro studio e ti imbottiamo gratis! Vorrei tanto fare qualcosa per lei, ma I dunno, se 2morrow le parlo ho paura che mi mandi a fankulo sulla sua bakeka. Yo.

lunedì 15 febbraio 2010

Taxation without representation

Il tour dei musei è andato bene. Alla national gallery hanno tanti dipinti, ma se la confronto al louvre, ai vaticani, al prado e al moma, perde punti. In ogni caso la gratuità è un ottimo punto a favore. Il museo di storia americana fa quasi tenerezza per quanto sono giovani. Si parte dalle diligenze, per passare alle auto di inizio secolo, poi l'elicottero della seconda guerra mondiale, per arrivare a un enorme pezzo di acciaio deformato proveniente da una delle torri gemelle. L'holocaust memorial museum è molto crudo, ma rende bene l'idea del "non dimenticare". Il museo di storia naturale l'ho trovato noiosissimo a parte il tirannosauro. Quando sono uscita ho letto sulla targa di un auto lo slogan della città: taxation without representation. Mi è tornato in mente uno di quei brani accademici lungherrimi che ci fanno leggere per la preparazione al Toefl. Questo slogan vuole ricordare il grido che gli americani fecero agli inglesi prima di iniziare la rivolta. Volete i soldi delle nostre tasse e non ci volete in parlamento? Ok, noi iniziamo a boicottare i vostri prodotti. Vediamo, un po' da dove cominciamo? Cominciamo dal formaggio. C'è una tassa sul Cheddar inglese? Bene, noi ora creiamo quello americano, così non dobbiamo più pagare. Gli aggiungiamo del succo di carota, così diventa arancione. Hai capito, una va al supermercato a fare la spesa e non sa che dietro a quello strano pezzo di formaggio arancione c'è la storia di una rivoluzione. In ogni caso non hanno mai smesso di venderlo, e il white cheddar è una novità degli ultimi anni. Ma chiudiamo la parentesi della targa. Il viaggio di ritorno è andato bene. Prima di partire ero un po' preoccupata, perché quando ho comprato il biglietto credevo che a New York fosse prevista una semplice sosta, e invece all'andata ho capito che bisognava scendere dal bus e aspettare un'ora il secondo mezzo. Peccato che la sosta del ritorno fosse alle due di notte. Una ragazza da sola dalle due alle tre di notte alla stazione delle corriere di New York? Sì, se deve essere avventura che avventura sia. Alla fine, era molto più sicura della stazione di Bologna alle due del pomeriggio. Piena di gente, illuminata a giorno, e con tante guardie sull'attenti. Sono arrivata a casa alle otto del mattino, ho fatto la doccia, ho dormito tre ore, ho pranzato e sono andata a fare la spesa. Tutta colpa della red bull che ho bevuto ieri pomeriggio. Era in formato americano: 470 ml. Posso scrivere burp o non si addice a una signorina?

domenica 14 febbraio 2010

Prove tecniche di San Pietroburgo

Se guardo le mie foto e le foto che si trovano in internet, vedo due città diverse. Comunque malgrado il freddo sono contenta di avere visitato Washington in questi giorni. Ieri mattina la casa bianca era più bianca del solito, e la fontana del world war II memorial era completamente ghiacciata, così come lo specchio d'acqua di fronte al monumento ad Abramo Lincoln. L'enorme prato sotto all'obelisco del Washington memorial sembrava il set di uno di quei film apocalittici che piacciono tanto agli americani. Ma neve a parte, la capitale degli Stati Uniti è imponente, e con i suoi palazzi di architettura ispirati all'antica Roma, quasi intimidisce. Per certi versi, mi ricorda Vienna, è bellissima da visitare, però ci manca il sale che puoi trovare in una Praga o in una Stoccolma. Forse questa sensazione fuoriesce perché W. è stata proclamata capitale sulla carta, e poi è stato costruito tutto il necessario. A Boston si è combattuto per fare l'america, e mentre giri per le strade lo respiri dappertutto. Qui l'atmosfera è semplicemente asettica. L'unica strada animata di gente e negozietti è la settima, al confine con chinatown. A mezzogiorno, seguendo le indicazioni della mia guida, sono entrata all'interno della corte dell'ufficio postale vecchio, dove ci sono una serie di fast food. Apro la porta e mi trovo davanti due poliziotti e un controllo bagagli da aeroporto.
p: cosa ci fa lei qui?
k: volevo mangiare...
p: come ha saputo di questo posto?
k: c'è sulla mia guida, e poi c'è un cartello grande FOOD lì fuori, lo vede?
p: da dove viene?
k: sono italiana ma vengo da Boston
p: da sola? che coraggio! ok può entrare
Ma ditemi voi se devono fare tutte queste storie, brutti paranoici che non sono altro! Poi ho realizzato che dall'interno si accede a una torre simbolo della città e che forse hanno paura di attentati. Ma anche meno. Nel tardo pomeriggio poi si è alzato il vento e sono tornata in ostello. Nella sala computer un improbabile trentacinquenne con la maglietta dei megadeth con le maniche arrotolate sulle spalle e i jeans strappati, inizia a parlarmi.
F: ehi da dove vieni?
k: sono italiana ma vengo da Boston
A questo punto inizia un monologo di venti minuti, mentre io lo guardo perplessa.
F: "ah capisco. Io sono Fred, piacere di conoscerti. Sono nato qui, ma vivo a Los Angeles perché lavoro nel teatro, cioè cioè. Ho un amico italiano, si chiama Salvatore ed è Calabrese. Ora io non è che sono uno che di solito crede negli stereotipi, cioè cioè, ma lui viene in palestra col canottierone, il catenone, la sigaretta di traverso e si atteggia da gangsta. Oh per carità noi i gangsta lì ammiriamo perché abbiamo visto il padrino, cioè, ma immagino che dal vostro punto di vista non siano il massimo, perché voi lavorate e loro no. Ma tu sei del nord o del sud?"
E' stato fortunato, perché se ero del sud gli avrei dato un pugno sul muso. E poi a proposito di stereotipi, se non fosse stato così grosso gli avrei messo davanti uno specchio, tzé. Dopo cinque minuti sono uscita per comprarmi qualcosa per cena e l'ho piantato lì che ancora parlava. Oggi invece vado a vedere i musei Smithsonian, che ce ne sono tipo una decina, tutti nella stessa via e tutti gratis. Pare che siano gratis perché un multimiliardario inglese poco prima di morire ha devoluto alla causa un sacco di soldi, per dare una cultura a questo nuovo paese. Povero illuso.

sabato 13 febbraio 2010

Into the wild

Ieri dopo la scuola sono andata alla stazione degli autobus e sono partita per Washington. Essendo il venerdì che precede un week end lungo, la stazione era affollatissima e non si capiva niente. Ho chiesto informazioni a un tizio che mi ha risposto che c'era ancora posto sul bus precedente, e che visto il traffico mi conveniva saltare su. Dovendo cambiare bus a New York, quella mezz'ora di anticipo è stata preziosissima. Mi sono seduta davanti e ho ammirato il paesaggio che si vedeva attraversando il Connecticut, che era leggermente imbiancato come Boston. Le regole di guida sono diverse, perché in autostrada i veicoli lenti sono quasi tutti nella corsia al centro, e vengono sorpassati da destra e da sinistra. Quando siamo usciti dalla interstate 95 ho visto i primi cartelli che indicavano New York. Il bus è passato sopra a un cavalcavia che sovrasta la 140 strada, ovvero il Bronx. Sopra al cavalcavia ci sono indicati i numeri delle strade sotto, per capire dove ci si trova. Devo dire che me lo immaginavo peggio, il Bronx. Sulla tangenziale c'era un traffico impossibile, ed era anche l'ora di punta. Dovevamo arrivare alla 40 strada e davanti a me c'era un lungo unico serpentone di auto del quale non vedevo la fine. L'autista dopo venti minuti ha sclerato, ed è uscito all'altezza della 138, ha svoltato a sinistra e si è fatto tutta la quinta avenue. Harlem è proprio come me lo ricordavo: non c'è un bianco a pagarlo, e i bimbi neri giocano a pallate di neve sul marciapiede. Se ripenso a quelle due bionde pazze che ci si sono avventurate nel 2005, mi scappa da ridere. Dalla 80 alla 40 è stato un calvario, ad ogni incrocio c'era un semaforo e orde di taxi gialli impazziti ci tagliavano la strada. Siamo arrivati con un'ora di ritardo, e sono riuscita a prendere il secondo bus al volo. Mi sono rilassata cinque minuti, e mentre il bus ha girato l'angolo per uscire dalla stazione, si è sentito uno strano rumore e il motore si è spento. Ho acceso il portatile e mi sono connessa a una rete wireless qualsiasi per lamentarmi su google buzz, e scrivere una mail all'ostello, annunciandogli un probabile ritardo. Sette tentativi di accensione e venti minuti dopo, l'autobus è ripartito. Mi sono addormentata in tre minuti. Tre ore dopo ho riaperto gli occhi e non ci potevo credere. O il bus aveva sbagliato direzione ed eravamo nel mezzo dell'Alaska, o quello che hanno detto in televisione a proposito dello Snowmageddon o Snowcalypse è tutto vero. Gli alberi al bordo dell'autostrada sembravano cespugli senza tronco. Tutto intorno era un muro bianco. Ho pensato che se il bus si rompeva di nuovo, avremmo potuto fare il remake di "Into the wild", soprattutto del finale. A mezzanotte siamo arrivati a destinazione. In giro non si vedevano taxi, e quando stavo per disperarmi ne è spuntato fuori uno scarcassatissimo guidato dal sosia di Denzel Washington. Sono entrata dallo sportello di sinistra, mentre dallo sportello di destra è entrato il sosia di Eddie Murphy, che mi ha detto "o ce lo dividiamo o scendi perché l'ho visto prima io". Molta gente probabilmente si sarebbe spaventata, ma io ero talmente stanca che ho detto va bene. Io ho parlato del freddo di Boston, Eddie della neve di New York, e Denzel della neve di Washington. Ha vinto lui. Dieci minuti e dieci dollari dopo siamo arrivati al mio ostello, rapido e indolore. Ora ho appena fatto colazione, e vado fuori ad esplorare.

giovedì 11 febbraio 2010

Un lunedì alternativo

La settimana scorsa:
Liza: la smetti di andare a letto alle dieci?
Kay: scusami ma con questo freddo passo gran parte dei pomeriggi a casa, e quando si fa sera sono stanca.
L: ma lo sai che noi rientriamo sempre alle nove e mezza.
K: eh appunto, vi aspetto per salutarvi e poi vado a letto. A quell'ora i miei amici italiani sono già tutti andati a dormire e io preferisco alzarmi presto alla mattina.
L: una di queste sere usciamo tutti insieme!
K: ecco, tipo un sabato sarebbe perfetto.
L: no, la domenica ci alziamo presto. Appena ho una mattina libera ti dico.
La settimana passa, poi lunedì sera Liza arriva a casa alle otto, prima del solito. Io dopo la doccia mi ero messa direttamente il pigiama, e stavo cenando.
L: sei pronta?
K: per cosa?
L: stasera si esce! Aspettiamo Matt e alle dieci usciamo.
K: ma domattina devo andare a scuola!
L: non ti puoi rifiutare. Stasera non c'è la mia fidanzata e mi voglio divertire, voglio ballare!
K: ok, ma dove si va?
L: è un locale dove si balla ma c'è anche il bar con i biliardi.
Mi faccio un caffè doppio e mi vesto a strati. Alle dieci arriva Matt, e camminiamo fino al locale dove ci aspetta Juliet. Il locale si chiama Machine, ma la serata del lunedì si chiama Dirty Sexy Monday. Conoscendoli come ho fatto a non pensare subito in che tipo di locale mi stavano portando? Il locale aveva effettivamente due aree. Entriamo nella prima. Lady Gaga a palla, 9 persone su dieci sono maschi gay, 1 persona su dieci è la migliore amica di uno di questi. Matt lo perdiamo dopo tre secondi. Noi andiamo a giocare a stecca, e improvvisamente mi rendo conto di quanto mi manca il clan. Poi, finita la partita, torniamo nell'altra sala, dove è appena iniziato uno spettacolo di drag queen. Mentre loro cantano, un'orda di ragazzi impazziti si accalca per mettere una banconota da un dollaro in mezzo alla scollatura delle cantanti. Liza si beve prima un gin tonic, poi due, poi tre, e poi quattro. Finito lo show c'è il secondo round di musica simil Gaga. Ballo o mi tiro un colpo in testa? Non ho una pistola, ballo. Dopo poco Liza vola a culo in terra sul pavimento, e capiamo che è ora di dirigersi verso l'uscita. Matt risulta non pervenuto, Juliet abita dalla parte opposta, quindi tocca a me caricarmi Liza in spalla e camminare tortuosamente verso casa. A parte la sosta di dieci minuti in cui lei si dedica alla decorazione del marciapiede con i resti della cena e della bevuta, arriviamo a casa indenni. Che pazienza che ci vuole con questi giovini.

lunedì 8 febbraio 2010

L'abito non fa il monaco.

Oggi Johanna ha prenotato il salone di un altro ristorante e ci ha fatto il pranzo di natale con tutti i suoi dipendenti. Ha invitato anche me. Mi ha detto che lo sa che è un po' tardi per festeggiare il natale, ma a Dicembre si lavora tanto e non si può stare chiusi un giorno. Certo potevano farlo a Gennaio, ma a me è andata bene così. Lei e il marito sono arrivati vestiti elegantissimi. Anche il miniesercito di cuochi, camerieri e sguatteri aveva tirato fuori il vestito buono, ma ovviamente non c'era paragone. Io ero vestita come tutti i giorni. Ho un talento per queste cose, non ci indovino mai. La volta che mi vesto elegante sono tutti informali, di sicuro. Quasi tutto il personale di cucina, che è quello più povero, ha ordinato il cibo due volte chiedendo il cartoccino da portarsi a casa per cena. Johanna ha visto tutto e non ha battuto ciglio, è una vera signora. Ero seduta di fronte a lei e non si è scomposta nemmeno quando le hanno portato il conto. Duemiladuecento dollari, per circa 40 persone. Anzi, ha lasciato pure trecento dollari di mancia. L'importo della mancia è di solito intorno al 15% del conto totale, e poco importa se risultano cifre astronomiche. Durante il pranzo tra una chiacchiera e l'altra mi sono guardata un po' intorno. I capocuochi del ristorante sono marito e moglie, vengono dal Brasile e lavorano per lei da nove anni. Nove anni chiusi insieme in quella cucina senza una finestra, mi chiedo se sia vero amore o disperazione reale. Sono due persone umili e meravigliose. Ad un certo punto è entrata la loro figliola ventenne e sono rimasta a bocca aperta. Questi due fanno una vita orribile per dare tutti i soldi a lei, che li usa per comprarsi vestiti, scarpe e borse costosissime (ne aveva una di chanel), e per la french manicure. Il tutto per farsi sposare dal fidanzato americano per acquisire finalmente la cittadinanza. Non appena il fidanzato girava le spalle, lei scriveva nervosamente sms, al probabile ragazzo che ama, ma che ha l'unica sfiga di non essere cittadino statunitense. Lei non si può di certo chiamare stupida, ma quanti genitori così ci sono? Persone che non vivono la loro vita, per far vivere la vita dei loro sogni ai propri figli. Io sarò terribilmente egoista, ma non ci riuscirei mai. Fortunatamente per la prosecuzione della razza umana, non sono tutti come me.

domenica 7 febbraio 2010

Ballando il tip tap.

Il mio studio delle dinamiche comportamentali all'interno di un ristorante americano si è concluso con successo. O meglio con un bel salmone nel mio piatto, che c'è rimasto per circa trenta secondi, con un contorno di purè vero fatto a mano senza bustina come solo la nonna sapeva fare bene. Ma parliamo di affinità e divergenze. Il cameriere italiano prende uno stipendio mensile che non varia mai di un centesimo. Se svolge un servizio impeccabile o se è lento e svogliato, a lui non cambia niente. Negli Stati Uniti, come tutti sanno, si dà una mancia (tip) proporzionata alla gentilezza e alla bravura di chi ti serve al tavolo. Chi sparecchia e apparecchia viene chiamato busser, e prende in media il 20% delle mance del cameriere che in un ristorante medio alto come quello in un sabato sera possono arrivare anche ai 200 dollari. I camerieri ovviamente non si limitano a portarti il piatto, ma si improvvisano comici e intrattenitori.
Mi hanno affidato a due camerieri esperti: Stan il cattivo, e Juan il buono. Stan è quello esigente, incazzato col mondo poiché è stato costretto a emigrare dalla Bulgaria, perché non trovava lavoro. Stan mi ha insegnato a trasportare 8 bicchieri con due mani, senza romperne neanche uno. Il suo sguardo mentre mi diceva di stare attenta a non farli cadere era tipo quello di Ivan Drago quando disse a Rocky ti spiezzo in due. Con una spiegazione così eloquente, non si poteva fare altro che ubbidire e rigare dritto. "Non è difficile, io ne trasporto 20. La prossima volta ti insegno come trasportare tantissimi piatti quando sparecchi. You have to be very strong". Mi sono chiesta se fosse una minaccia. Tipo: se torni sai cosa ti aspetta. Poi Johanna è passata dal ristorante e mi ha chiesto se lui si fosse comportato bene, perché ha la nomea di quello che fa piangere i nuovi arrivati. Benissimo Johanna, è stato gentilissimo. In realtà dopo le prime cinque ore di atteggiamenti scontrosi, si è rilassato e alla fine mi ha anche ringraziato stringendomi la mano per l'ottimo lavoro. Juan invece è un sudamericano che noi in romagna definiremmo molto "polleggiato". Con le mance fa molti più soldi di Stan perché ha la vena comica con la gente, ma fortunatamente prende il lavoro un pochino meno sul serio. Appena sono arrivata il lavapiatti mi ha dato una cassetta enorme piena di posate da asciugare. Io ho preso lo straccino e le stavo asciugando una per una. Entra Juan e si presenta con "hello sweetheart, se le asciughi così domattina sei ancora qui. Forse è meglio che ne prendi 4-5 alla volta". Qualcosa mi dice che sono stata fortunata che non sia entrato Stan in quel momento. Poi ho imparato ad arrotolare le posate nel tovagliolo. Anche lì c'è una tecnica. Quante cose non si sanno. Duecento arrotolamenti dopo c'è stata la lezione di come ti apparecchio il tavolo nel ristorante chic. Piatto vicino al bordo, bicchiere dell'acqua a ore due, bicchiere del vino in diagonale sempre a ore due, rotolino di posate al centro del piatto, centrotavola e olio di oliva sulla destra. Alle sei sono entrati i primi clienti.
Stan: vai da loro e chiedigli che tipo di acqua vogliono.
Kay: tipo che chiedo volete l'acqua mineral or with gas?
Stan: oh. my. god. Juan parlaci tu.
Juan: no honey, prima di tutto ti presenti con un sorrisone e poi devi dire così: hi guys how you doin'? May I offer you some water? Still, sparkling or from the tap?
Kay: ah. il sorrisone. wow.
Juan: poi se ti rispondono still, gli porti l'acqua panna naturale, sparkling la san pellegrino gassata, e tap è il rubinetto. Non quello che usi per lavarti le mani ma l'altro che ha il filtro.
Stan: ovviamente quando ti chiedono l'acqua del rubinetto, tu sei responsabile dei loro bicchieri.
Kay: cioè?
Stan: devi girare per i tavoli con la caraffa, e appena vedi un bicchiere vuoto lo devi riempire.
Kay: wow. Responsabile riempimento bicchieri. Ho già una carica, faccio progressi.
Ehi tu, comodamente seduto davanti al tuo pc, hai idea di quanto sia imbarazzante fare la schiava riempibicchieri a gente che non ti guarda neanche in faccia?
In futuro devo ricordarmi di ordinare sempre l'acqua in bottiglia. Con una sola eccezione. Se torno da cliente in quel ristorante Stan deve essere il mio schiavo. Voglio bere 37 litri di acqua del rubinetto in una sera. Come minimo!
Non fraintendetemi, nel complesso è stata un'esperienza assolutamente positiva. Sono tornata a casa stanchissima ma contenta.
Evviva il mio internship amministrativo. Evviva le fatture. Evviva il data entry.


sabato 6 febbraio 2010

Sparecchiatrice per un giorno

Johanna è una che la sa lunga. Vuole sapere i miei piani per potersi organizzare con il lavoro, ma io non le do soddisfazioni anche perché al momento non ho nessun piano.
Johanna: allora come ti trovi a Boston?
Kay: bene, la città mi piace molto, è solo un po' freddo ogni tanto.
J: hai tanti amici qui?
k: non tanti.
J: e in Italia ne hai tanti? Ti mancano?
k: sì abbastanza, però li sento sempre via internet.
J: sì infatti con internet si è sempre in contatto. E tuo padre? Vuole che torni a casa presto?
k: beh lui mi dice fai quello che vuoi, però ogni tanto al telefono mi dice che si sente solo.
J: eh dovrà farci l'abitudine, mica vivrai per sempre sotto il suo tetto.
k: spero proprio di no.
J: ma la scuola quando finisce?
k: a metà marzo. Ma poi potrei rimanere un altro paio di mesi volendo.
J: ma ti piace fare questo internship amministrativo?
k: beh sì, mi annoiavo e questo almeno mi tiene occupata.
J: ah però non è che ti piaccia così tanto allora.
k: se devo dire la verità avrei davvero preferito fare qualcosa al ristorante. In questo periodo sento il bisogno di tenermi in movimento e parlare con la gente.
J: sei incredibile. Tu non ti rendi conto della fortuna che hai avuto.
k: forse, però ho fatto questo genere di lavoro per anni e anni, sempre chiusa in un ufficio con le fatture. Ora sento un impulso che mi viene da dentro e che mi dice esci là fuori e parla con la gente. E' anche per seguire questo impulso che sono capitata a Boston.
J: no no tu non ti rendi conto. So io cosa ci vuole per te.
k: oddio cosa?
J: ho promesso un sabato sera di ferie al ragazzo che mi sparecchia i tavoli. Ti andrebbe di provare a sostituirlo una sera solo per vedere com'è il suo lavoro?
k: ma gratis?
J: in cambio ti offro una cena in uno dei migliori ristoranti italiani di Boston, il mio!
k: perché no, tanto questo sabato non ho niente di particolare da fare.
Cinque minuti dopo ho avuto la netta sensazione che mi avesse incastrato. Stasera al ristorante se non mi cacciano perché mi cadono tutti i piatti per terra, se ne vedranno delle belle.

venerdì 5 febbraio 2010

La pirateria è tutta intorno a noi.

Liza ha qualche problema a mantenere la calma.
Ieri sera ero molto stanca e sono andata a letto verso le dieci. Pochi minuti dopo lei si è seduta in cucina e ha aperto la posta. Mentre apriva la busta del nostro provider internet pensando che fosse una bolletta, ha imprecato in russo. Quando Liza impreca in russo non c'è mai da aspettarsi niente di buono. Si è fiondata verso la mia camera, ha bussato ed è entrata senza aspettare una risposta. Io ero mezza addormentata.
L: hai visto quel dvd masterizzato sul tavolino del salotto? Inglorious Basterds?
k: si l'ho visto.
L: hai provato tu a metterlo dentro al lettore dvd?
k: no, io quel film l'ho già visto e non mi interessava rivederlo.
A questo punto se ne è tornata di là senza spiegare nulla e dimenticandosi la porta aperta. Io l'ho pazientemente richiusa e mi sono rimessa a dormire. Poi l'ho sentita che blaterava in russo con la fidanzata al telefono. Inglorious Basterds bla bla bla. Tre minuti dopo torna:
L: tu hai bit torrent sul tuo pc?
k: non ce l'ho sul mio portatile. So cos'è però non l'ho mai usato anche perché tu il primo giorno mi hai detto di non scaricare nulla perché qui negli Stati Uniti ti beccano subito.
L: ok allora non sei stata tu.
Ha richiuso la porta ed è uscita. Questa volta ha telefonato a Cody, il tizio che mi subaffitta la camera mentre è in Arizona a fare il corso di body massage.
L: lei non è stata, sei stato tu prima di andartene? confessa!
C: take it easy baby. chill. respira. leggimi bene cosa dice la lettera.
Liza ha letto ciò che diceva la lettera, ha ascoltato la risposta ed è ripiombata per la terza volta in camera mia senza bussare. Ai miei tempi d'oro dopo un comportamento del genere l'avrei messa sotto con la macchina e avrei fatto pure la retromarcia. Per sua fortuna ora sono molto più saggia e qui non ho l'auto. Questa volta finalmente mi ha mostrato cosa diceva la lettera, mentre parlava a voce molto alta.
L: tu sul tuo pc, hai il film Inglorious Basterds?
k: aridaje. Anche se ce l'ho, non l'ho scaricato qui. Io non scaricherei mai niente. Il file che ho me l'ha passato un amico in Italia.
L: AH! Ce l'hai quindi! Cancellalo subito! E cancella tutti i file sul tuo pc!
k: si certo e poi già che ci sono lo lancio pure dalla finestra! What's going on??
Ho letto velocemente la lettera e non credevo ai miei occhi. Diceva una roba tipo: Verizon ti comunica che ha rilevato la presenza di un file illegale su uno dei pc che si collegano a internet dal tuo indirizzo IP. Se al prossimo controllo il file verrà rilevato ancora, ti staccheremo la connessione a internet per sempre. Il file in questione è Inglorious Basterds e proviene da una delle copie rilasciate in United Kingdom per la visione nelle sale cinematografiche.
Ora ho un interrogativo che mi gira per la testa: tornate su a leggere la domanda che mi ha fatto Liza dopo avere visto la lettera per la prima volta. Lei pensava davvero che il provider internet avesse rilevato un cd masterizzato dentro al lettore dvd? Seriamente??? Oh magari Martedì prossimo provo a vedere se trasmettono Lost dentro al forno a microonde, che non si sa mai.


giovedì 4 febbraio 2010

Nuove improbabili tendenze

Fra i passeggeri della metropolitana di Boston inziano a spuntare i primi Kindle di Amazon e la gente fissa i fortunati possessori con lo stesso sguardo di invidia con cui si guardava chi aveva un ipod nel 2003. Vuoi vedere che nel giro di cinque anni tutti gli intenditori di musica indie dell'ultimo minuto spariranno e magicamente si materializzeranno critici letterari da tutte le parti? Me li vedo già con la pipa e il gilet. Tipo che last.fm passerà in secondo piano e i reading letterari che verranno integrati su Anobii saranno i prossimi eventi con più presenze secondo Facebook. Come dite? Sperare in un ritorno alla lettura implica una visione del futuro troppo ottimista? Eh oh, se ci si comprano i gingilli poi bisogna anche usarli. Non è che si può fissare un kindle sulla pagina bianca tanto per sfoggiarlo in pubblico. Sperare che la gente poi legga i classici è troppo. Sarà una vera manna per Dan Brown e Bruno Vespa. Io però non lo voglio. A parte la comune faccenda dell'odore della carta, negli ultimi due anni mi è spuntata una insana predilezione per le vecchie edizioni in copertina rigida che si trovano ai mercatini dell'usato. E guai a voi se mi venite a dire di incollare una pagina dietro al kindle!

mercoledì 3 febbraio 2010

Lost in the U.S.A.

Lost per noi antropologi della domenica è un fenomeno di costume senza precedenti. Provate a pensarci un attimo. Quando è stata l'ultima volta che tutti si sono fermati per qualcosa che stava accadendo sul piccolo schermo? L'undici settembre 2001? No, è stato ieri sera, e per la prima volta si è trattato di un evento non reale. Nemmeno per la finale dei mondiali di calcio c'è un tale silenzio per le strade. O meglio, di sicuro c'è in Italia, ma non negli Stati Uniti. Se ci fosse stata la diretta in contemporanea dappertutto avremmo dimezzato il tasso di inquinamento automobilistico mondiale. Io ho la fortuna di trovarmi negli States, ma non ho la tv in casa purtroppo. Vi assicuro che quando sale la fotta "Lost Lost Lost" è frustrante, perciò ho cercato di darmi da fare per trovare il primo sito che lo trasmettesse in streaming. Su twitter, ieri sera sono stati pubblicati intorno ai 2000 twit al minuto contenenti la parola Lost. Spulciandoli ho trovato il link al sito di un pazzo americano che ha piazzato la webcam di fronte alla propria tv e ha mandato in onda la trasmissione in diretta. Gli europei a quell'ora erano appena andati a dormire, ma i sudamericani sono impazziti e si sono collegati tutti insieme facendo crollare il sito a cinque minuti dalla fine dal primo episodio. L'orda di improperi twittati in portoghese e spagnolo aveva dell'incredibile. Io per fortuna mi sono rifiutata di guardarlo a causa della pessima qualità e ho aspettato lo streaming ufficiale sul sito della abc. Comunque, ieri sera doveva esserci un discorso ufficiale di Obama alla casa bianca, e lui l'ha rinviato per Lost. Il presidente degli Stati Uniti, l'uomo più potente del mondo si arrende davanti a una serie tv? Probabilmente anche lui è un fan e non si voleva perdere la puntata. Roba che se io fossi Bin Laden e dovessi decidere quando tentare di nuclearizzare tutta la baracca lo farei la sera della puntata finale.
Jack: we have to go baaaack!
Kay: forse non è una cattiva idea.

martedì 2 febbraio 2010

Altro giro, altro regalo.

Questo freddissimo week-end mi ha tolto le energie per scrivere. Oggi invece è stato "caldo" (+1°c) e mi è tornata l'ispirazione. In questi giorni ho visto due film, uno più triste dell'altro. Il primo è "Up in the air" con George Clooney. In questo film il protagonista fa un lavoro orrendo: viaggia da una città all'altra per licenziare persone al posto del titolare che non ne ha il coraggio. Eppure io quasi quel lavoro gliel'ho invidiato, perché gli permetteva di volare circa 300 giorni all'anno, sempre in business class, dormendo in hotels 4 stelle. Ecco forse 300 sono un po' troppi, però 150 li farei. La mia citazione preferita è "the slower you move, the faster you die". La sdentata epocale che si prende lui ad un certo punto invece fa riflettere, sembra che chi si ferma sia perduto. Quando ho scritto su twitter che volevo vederlo, qualcuno mi ha risposto che è il film più triste dopo "500 days of summer". Facile indovinare quale film abbia visto il giorno dopo. Vi prego la prossima volta prendetemi il cuore e tritatelo in mille pezzettini, che fa meno male. Ah già è vero, non c'è più niente da tritare. Però devo dire che è realistico, e la sdentata del protagonista, poveretto, supera quella di Clooney. Il finale vuole lasciare qualche speranza, ed è per questo che non mi è piaciuto. In questo periodo sono nel mood "tutto è inutile" e mi sento meglio quando mi si dà ragione.
Meglio passare ad un argomento più allegro. Tre giorni fa ho scoperto che lunedì 15 febbraio qui negli stati uniti è festa nazionale (presidents day), e quindi ho deciso di fare un'altra gita in bus durante quel week-end. Questa volta però vado verso sud, in cerca di migliori condizioni climatiche. Ho comprato un biglietto per Washington, e ho trovato un ostello a 10 minuti a piedi dalla casa bianca. Se incontro Obamone ve lo saluto.